PANORAMA
DALLA GUERRA CIVILE ALLA MORTE DI FRANCO
Con una acrimonia presente in tutto il suo libro sulla storia del romanzo spagnolo contemporaneo (persino con una sfuriata contro i presunti colpevoli di aver scritto una storia sociale della letteratura), il prof. José Luis Martínez Cachero (La novela española entre 1936 y el fin de siglo. Historia de una aventura. Madrid, Castalia, 1997) dichiara che non sia corretto il luogo comune secondo il quale ci sia un vuoto nella narrativa spagnola dopo la fine della guerra civile. A riprova della sua affermazione, il prof. Martínez Cachero dedica lunghe pagine all'analisi della produzione di molti simpatizzanti del regime franchista e riesce a dimostrare che l'insaziabile desiderio di pubblicazione era più vivo della fame, nei duri anni che seguirono lo scontro fratricida.
La veemente tesi del prof. Cachero si deve al fatto che spesso si studia la narrativa spagnola contemporanea con criteri che provengono dalla storiografia o dalla sociologia, nei migliori dei casi. Così, le due date principali da cui derivano alcune divisioni in campo letterario sono quelle della guerra civile e della transizione alla democrazia. Certamente è vero che sono i due assi principali attorno a cui si muove la società spagnola degli ultimi anni, avendo all'orizzonte la lunga dittatura franchista. Ma succede che la letteratura abbia i suoi tempi e la sua evoluzione, spesso divergenti (sia per anticipo che per ritardo) dalla dinamica generale della società. Condizionata da questa, la letteratura riesce a uscire dal tempo storico per fissare altri tempi e altre verità.
Così, per quanto riguarda la narrativa spagnola del Novecento e nonostante le ardue dimostrazioni del prof. Martínez Cachero, la produzione del dopoguerra civile risulta francamente noiosa e scontata: disprezzo della Repubblica e lode al "Movimento" falangista, con maggiori o minori sfumature. Dal punto di vista formale, in quel periodo non viene presa in considerazione l'avanguardia europea e il modello più recente è Benito Pérez Galdós, il grande scrittore ottocentesco. Vive ancora Pío Baroja, in odore di eresia grammaticale troppo forte per riconoscergli un indubbio magistero. La grande letteratura si sta scrivendo dall'esilio: Ramón Sender, Max Aub, Francisco Ayala.
Per questo motivo, la vera novità, la "chiave di volta" di quell'epoca la costituisce l'irruzione del polemico galiziano Camilo José Cela, con La famiglia di Pascual Duarte. Nato nel 1916 a La Coruña, Cela seppe tessere una buona rete di relazioni letterarie nell'ambiente madrilegno. Trovò anche lavoro presso il regime, quale censore di stampa. Anche se si difende argomentando che doveva censurare settimanali religiosi e testi di seconda categoria, il problema non cambia: non importa che cosa si abbia censurato, ciò che importa è essere stato censore. Ma sopravvivere a Madrid non doveva essere meno "agro" che a Milano, e questo tipo di impiego era ciò che passava il convento. Quindi, Cela scrive il suo romanzo e lo presenta a diverse case editrici, che puntualmente lo rifiutano, come vuole la tradizione. Finché il padre di un amico non consente a pubblicarglielo nella casa editrice "Aldecoa", nel 1942. Il libro attraversò impavido le maglie della censura e fu un successo di critica e di pubblico. Una mano gliela diede la BBC di Londra, che nelle sue trasmissioni ostili al regime dichiarò il romanzo "el libro de la semana" e un'altra mano il giornale Ecclesia che la qualificò simultaneamente "opera letteraria notevole" e "dannosa per la generalità". L'edizione si esaurì e per la seconda si svegliò la censura, che la proibì. Poi tolse la proibizione e naturalmente le vendite aumentarono.
La famiglia di Pascual Duarte è un congegno letterario molto ben strutturato. Contiene il trucco del manoscritto perso e ritrovato (cioè il Chisciotte e il romanzo picaresco), il falso intento moralizzante che copre il racconto d'innumerevoli infamie, una perfetta imitazione della parlata popolare dell'Estremadura, un'infanzia infelice, la violenza sessuale, l'uccisione di una cavalla, un aborto, la morte prematura di un bambino, la promiscuità di una famiglia in cui la sorella del protagonista è prostituta, un uxoricidio, la galera, un matricidio, un omicidio, monologhi interiori, prediche, confessioni, postille e una pena capitale. Se non fosse stato pubblicato prima, potrebbe sembrare una copia letteraria del Io, Piérre Riviere…di Foucault. Con il suo naturalismo in carne viva, prese gli spagnoli alla sprovvista e destò polemiche ed entusiasmi. Qualcuno battezzò il nuovo realismo come "tremendismo" e negli anni successivi tutti furono "tremendisti".
L'eccezione fu un inatteso romanzo di esordio, Nada, di Carmen Laforet. Barcellonese, Laforet partecipò al Premio Nadal (a quell'epoca il più prestigioso del panorama spagnolo) e vinse a piene mani. La scrittrice aveva vent'anni e la sua narrazione sa di autobiografia. Una giovane orfana arriva dai parenti a Barcellona, dove viene ospitata mentre frequenta il primo anno di università. La casa di calle Aribau diventa un mondo dentro il mondo e il racconto s'incarica di distruggere la facciata borghese di perbenismo e armonia. L'ambiente dei benestanti si rivela torbido, quasi infernale, votato al nulla, che dà titolo al romanzo; per la protagonista sarà una liberazione abbandonare quella casa simbolica. Spontaneità, chiarezza, rabbia furono gli ingredienti del successo di Laforet che non riuscì a ripetere un'opera della caratura del suo primo romanzo. Questo, comunque, le garantì un posto di primo piano nella narrativa spagnola del dopoguerra.
Ma per l'arrivo di un nuovo giro di vite nella narrativa spagnola bisogna aspettare il secondo romanzo di Camilo José Cela. Pubblicato a Buenos Aires per le difficoltà che opponevano gli editori spagnoli, La colmena (1951) è un romanzo cubista sullo stile del Manhattan Transfer di John Dos Passos. Un personaggio-cerniera, lo scrittore Martín Marco, ripercorre Madrid senza altro scopo che quello di sopravvivere e trovare un buco dove alloggiare. Questo deambulare serve come pretesto per dipingere un affresco agile e pungente della metropoli spagnola, senza compiacimenti di sorta. Tutte le magagne e i difetti della Spagna vengono alla luce, ma soprattutto s'impone un nuovo stile secco e descrittivo, molto lontano dall'effettismo naturalista che lo stesso Cela aveva imposto dieci anni prima. Nasce così il realismo sociale e di nuovo Cela riesce a imporre un modo di raccontare diverso da quello imbellettato e pomposo degli scrittori ufficiali. Antipatico, pedante, irriverente e procace, il romanziere galiziano non si lascia inquadrare facilmente. Ma una cosa è certa: la sua forte personalità s'impone con decisione nel panorama letterario spagnolo. Segna le epoche e gli altri lo seguono, anche per la chiusura degli ambienti culturali sotto il regime franchista. Bisogna ricordare che allora la circolazione di alcuni libri era vietata ufficialmente (anche se la censura risulta essere il miglior stimolo alla lettura). C'erano, è vero, scrittori non invisi al regime, quali Zunzúnegui, Luca de Tena e Gironella. Ma i loro apporti alla letteratura si limitavano all'esercizio onesto di un modesto mestiere, molto al di sotto della grande tradizione letteraria del paese.
Gli anni '50 vedono, quindi, l'egemonia del cosiddetto "realismo sociale". Già nel 1948 Miguel Delibes aveva vinto il Premio Nadal con La sombra del ciprés es alargada, che le storie della letteratura dichiarano appartenere a tale movimento. Il caso di Delibes risulta molto particolare in quanto autore di opere memorabili, ma soprattutto uno scrittore costante, le cui caratteristiche si trovano lungo tutta la sua vita, dedita alla letteratura in modo incessante e sempre con alti livelli di qualità. Prolifico, Delibes raggiunge vette di grande scrittura in Il cammino (1950) oppure in Cinque ore con Mario (1966) devastante ritratto della provincia spagnola. La chiave di lettura di Delibes è questa: il suo scandagliare minuzioso dentro i modi di dire, di pensare, di agire degli abitanti della profonda Castiglia, senza emettere giudizio, come se il giudizio non gli appartenesse. Piuttosto, sembrerebbe preoccupato di salvare o recuperare il lessico castigliano più preciso (le sue opere sono adottate da tutti gli insegnanti di spagnolo, in quanto miniere lessicali), di ritrarre, congelandola, l'atmosfera precisa in cui la campagna si trovava prima di essere assorbita dalla modernità. Ma s'inganna chi crede di prescindere dal giudizio etico quando si parla di Delibes. Rigoroso, lo scrittore di Valladolid scopre le sue carte in I santi innocenti (1981), romanzo sociale che ha ispirato un fortunato film. Oppure, la sua vena più intima e commovente in Ritratto di signora con sfondo grigio (1991), autentico capolavoro di letteratura soggettiva.
Il realismo sociale diventa iperrealismo con Rafael Sánchez Ferlosio, che porta le tecniche del racconto al parossismo. In El Jarama (1955, anch'esso vincitore del Premio Nadal) Ferlosio resuscita Flaubert e tenta di "fotografare" la realtà minuto per minuto, senza interventi dell'autore. Con precisione da entomologo, il narratore segue i suoi personaggi durante una scampagnata al fiume Jarama, nei dintorni di Madrid. Questi parlano, discutono, giocano, ma sostanzialmente non fanno niente di "romanzesco"; semplicemente vivono una giornata qualunque e vuota, come tutte le altre. Persino il dramma finale, la morte per annegamento di uno dei personaggi, è contaminata dalla banalità del universo quotidiano dei protagonisti. Il rigore di Ferlosio consiste nell'esasperare un modo di raccontare, nel portare alle estreme conseguenze un credo letterario, fino a esaurirlo e non lasciare più spazio a nuove proposte dello stesso tipo. La sua arte risiede nel costruire un dipinto che sembra uno specchio così perfetto, che tutti vi si vedono riflessi senza rendersi conto dell'artificio. La vita non è così, ma il lettore si convince che sia così. Detto altrimenti, Ferlosio riesce a far diventare etica la sua estetica. E coerente con questa sua proposta, continua a fustigare la società spagnola dai suoi margini, in quanto rifiuta di essere inquadrato dentro l' establishment letterario o sociale. Gli amici del gruppo universitario di Ferlosio sono tutti degni di nota: Ana María Matute, Carmen Martín Gaite, Ignacio Aldecoa, Jesús Fernández Santos. Forse meno polemici o meno appariscenti, ciascuno di loro ha lasciato un segno sicuro sulla narrativa successiva.
Ma sarà uno scrittore non "letterario" a marcare un nuovo passo in avanti: Tempo di silenzio (1962) di Luis Martín Santos, che rompe definitivamente con il realismo letterario. Oltre allo struggente aneddoto che denuncia le dure condizioni sociali dell'epoca, il romanzo si fa valere per l'uso delle tecniche narrative più contemporanee, dal monologo interiore diretto alla variazione dei punti di vista, alla sperimentazione linguistica. L'importanza di Martín Santos è quella di raccogliere una tradizione ormai universale, che va da Faulkner a Sartre senza ignorare Freud e Kafka, per poi inserirla dentro la tradizione spagnola. Dopo di lui, saranno Juan Benet o Juan Goytisolo ad adottare un modo di raccontare di ampio respiro. Di questi ultimi, sarà Benet a proporsi quale maestro delle nuove generazioni, e infatti si dichiarano debitori del suo insegnamento narratori contemporanei quali Marías, Félix de Azúa o Vila Matas. I romanzi più significativi di Benet saranno quelli che compongono la trilogia di Región, un paese fittizio in cui alcuni personaggi fantasmali monologano e ricostruiscono le loro vite con una prosa esatta e difficile, altamente intellettualizzata, di grande rigore formale e tecnico (Volverás a Región, 1967; Una meditación, 1970; Un viaje de invierno, 1971). Il tema viene ripreso in Herrumbrosas lanzas (1983-86), presunto chiarimento di alcuni passaggi "oscuri" della trilogia. Scrittore di élite, Juan Benet segna una linea di confine nella narrativa spagnola contemporanea. Dopo di lui e di Martín Santos, non si potrà ignorare l'irruzione di tutto l'arsenale della narrativa.
A partire degli anni 70, irrompe nel panorama spagnolo (ma non solo spagnolo) la letteratura del "boom" latinoamericano, con i suoi capostipiti: Gabriel García Márquez, Carlos Fuentes, Mario Vargas Llosa, Julio Cortázar. La grande fortuna di questi narratori risuscita l'interesse verso altri meno giovani, come Alejo Carpentier, Miguel Ángel Asturias, José Lezama Lima e Jorge Luis Borges. La lettura di questi autori non può che lasciare un segno positivo dentro il panorama del romanzo spagnolo contemporaneo. Scrivono nella stessa lingua, usano i segni di una stessa cultura condivisa, si nutrono della stessa tradizione. Come ha scritto Fuentes: "Cervantes ci appartiene quanto ci appartiene il Popol Vuh". È naturale, quindi, uno scambio implicito, che inizia dalla città di edizione: il lancio degli autori del boom ha luogo a Barcellona.
Si arriva così alla più stretta contemporaneità. Diventa difficile descriverla, anche perché con l'entrata dell'editoria nella logica del mercato la quantità di autori si è moltiplicata in modo tale da risultare assai complicato seguire tutta la produzione narrativa. Desolato, Rafael Conte constata che non è spuntato il manoscritto nascosto nel cassetto durante il regime franchista. Ma è anche vero che la maggior parte della critica identifica in Eduardo Mendoza e la sua La verità sul caso Savolta (1975) l'inizio della narrativa della transizione. Da allora in avanti, il numero e la qualità dei narratori cresce in modo straordinario, facendo diventare il romanzo spagnolo uno dei più importanti ma soprattutto uno dei più vivaci e prolifici nel panorama europeo contemporaneo.
Dante Liano