Università Cattolica del Sacro Cuore

A bordo di quella barca i desideri di un Paese

Si diceva una volta che saremmo un popolo di eroi, santi e navigatori. Sugli eroi non mi pronuncio, sui santi c´è la testimonianza di uno come Andreotti per il quale saremmo piuttosto medi peccatori, quanto ai navigatori la passione collettiva per Luna rossa, e prima per Il moro di Venezia e Azzurra  farebbe propendere per il sì. Non fosse che sappiamo non essere così, che soprattutto la vela è pratica di pochi.

E d´altra parte pare che solo la coppa America desti tanto interesse. Azzurra corse nel 1983 ma è rimasta nella memoria, come il suo timoniere Cino Ricci. E forse proprio un commento di quest´ultimo durante l´ultima regata - quella di sabato notte - ci offre la chiave di interpretazione della passione per Luna rossa e la coppa America quando ci siamo anche noi. «Ci hanno sottovalutati», ha detto Ricci mentre la barca filava sicura e solo la scaramanzia impediva di dirla già vincitrice.   Ecco, io credo che le sfide di Coppa America per quel concentrato altissimo di tecnica, lavoro di squadra, impegno individuale, fatica della prova, profusi in un confronto senza alibi con i migliori al mondo, solleciti le corde più nascoste della nostra cultura nazionale. Voglio dire: un´alta considerazione di noi stessi, ma il timore di metterla alla prova dei fatti.

E al tempo stesso una altrettanto radicata sfiducia nella capacità di fare bene le cose fino in fondo, la svalutazione di sé e l´inesprimibile irritazione per non essere stimati come vorremmo. Vedere dunque una barca italiana che tiene il campo con autorità ma senza iattanza, che soffre pure ma non si arrende, per la quale la vittoria non viene come frutto di improvvisazione ma di lunga preparazione e intelligente studio, senza furbate ma anche senza ingenuità, e al tempo stesso un equipaggio umano, anche nei suoi momenti di sbandamento, e con facce da vicini di casa e non da Beautiful o Baywatch come quelli di AmericaOne con i bicipitoni tutti uguali e ginnasticati come Big Jim (a parte Cayard, dispiace non averlo con noi), tutto questo lenisce i complessi di inferiorità senza stravolgerli in arroganza, rincuora e ci fa sentire come vorremmo sempre sentirci. Cioè bravi e simpatici ma anche signori, come l´antieroe per eccellenza Francesco De Angelis, il napoletano cui meno si adatta lo stereotipo locale, e alla mano ma indiscutibilmente competenti, e diretti senza infingimenti come Cino Ricci. E ancora al centro dell´attenzione e della stima ma senza l´obbligo di apparire superuomini, anzi un poco casalinghi e tutti mogli e figli da abbracciare appena finito il lavoro.

E nemmeno tanto stoici e british da apparire indifferenti nei momenti brutti, che qualche parolaccia pure ci può scappare.   Certo, poi c´è il fascino delle vele che si gonfiano, dell´albero che cigola nelle manovre come nei film d´avventura che ci piacevano da bambini, tutti corsari neri e rossi, e vira a tribordo e pronti al fuoco, della prua che corre sull´acqua come senza peso, di quel linguaggio esoterico che pare un poco buffo o goliardico (quando si deve cazzare la randa) ma rigirato in bocca ci fa sentire tanto lupi di mare, c´è, voglio dire, nello spettacolo della regata l´abbandono a un piacere infantile. Ma alla fine c´è, come sopra si diceva, molto di più, e di specifico per noi. E nel palpitare e piegarsi, nel correre nel vento e nel sole di una barca a vela, così viva e incongrua in un mondo di motori, così fragile e pure imprendibile, c´è una bellezza tanto immediata, che si impone con tanta evidenza da disarmare qualunque cinismo e far dimenticare i cento miliardi e gli sponsor che ci sono dietro, tanto perfetta da diventare infine commovente.

 Da farci sentire non solo come vorremmo sentirci ma anche, al fondo, oltre che bravi anche buoni. Santi, eroi e navigatori? Ma no, alla fine una volta di più, italiani brava gente, ed è detto tutto.


07/02/2000