Università Cattolica del Sacro Cuore

Azioni locali e un pensiero globale per trovare la via di un nuovo civismo

Diamo per scontato che gli incidenti di Genova siano anche effetto di imitazione, che ancora una volta coloro i quali osteggiano l´influenza americana scopiazzino poi dagli Stati Uniti movimenti e preoccupazioni; ammettiamo che gli Organismi geneticamente modificati (Ogm) siano pretesto ai nipotini di Seattle per rivendicare una visibilità e un antagonismo sociale ormai logoro e difficile da sostenere su altri presupposti; e deprechiamo pure la confusione dei linguaggi tra «disobbedienza civile» e «mercificazione della vita» e la strumentalizzazione di questioni drammatiche per il nostro futuro, e rispetto alle quali siamo culturalmente poco attrezzati.   Diamo per scontato tutto questo. Ma i problemi restano ugualmente. 

Resta l´ennesimo ritorno fideistico del mito d´una scienza i cui risultati non si possono discutere e che sembra rappresentare l´unica certezza superstite della modernità.  Resta il rischio di travolgere in nome delle ragioni del mercato ogni preoccupazione vitale di lungo periodo, resta la debolezza delle legislazioni statali rispetto a una globalizzazione che avvolge nella nebbia luoghi e tecniche di produzione, assembla elementi dalla provenienza più disparata e ridicolizza la capacità di controllo e governo delle produzioni agricole o medicali. Restano infine le questioni etiche di vita e di morte che la capacità di manipolazione genetica pone e cui non si può ormai sfuggire.  

Mi sembra che porre l´accento solo sugli aspetti negativi o di rischio con cui gli Ogm ci obbligano a fare i conti, faccia mancare il significato più importante che dalla presa di coscienza di tali questioni può derivare. E mi riferisco al fatto che dalla consapevolezza del significato globale dei limiti ecologici alla nostra attività di manipolazione della natura può nascere un nuovo patto sociale, una nuova idea di individuo, di società, del loro rapporto.  Scomparsa, con la fine dell´ideologie, la prospettiva della politica come strumento e garante di un senso della storia e quindi di una sicura pubblica felicità futura, finito con il tempo delle utopie con le sue speranze e abiezioni, la società occidentale si trova a brancolare nell´incertezza su ciò che sia bene comune e senso della vita collettiva. Quindi anche su ciò che si può accettare e ciò cui ci si deve opporre. 

La coscienza del limite che dalle considerazioni ecologiche può nascere, potrebbe in questo quadro offrire un riferimento comune su cui tutti concordare, permettere di stilare una rinnovata tavola dei diritti dell´uomo e dei suoi doveri non più ideologicamente e politicamente orientata ma fondata sulla consapevolezza della comune e ineludibile responsabilità per la sopravvivenza dignitosa della razza umana sulla terra.  La cultura occidentale nella sua radice greca conosceva e temeva la Hubris, la volontà di superare i limiti dell´uomo; in quella giudaicocristiana definiva come peccato la superbia della creatura rispetto al suo creatore facendone addirittura il peccato originale della condizione umana.

Ritornare a una idea di limite attraverso la nuova consapevolezza ecologica, ovvero all´idea di una responsabilità che investe ogni nostro atto in quanto esso comunque incide sulla situazione della natura, significa perciò non tradire la nostra storia ma ritrovarne le radici, e le prospettive di lunghissimo periodo. E una volta assunta l´idea della responsabilità che ogni azione comporta credo che l´agire localmente, pensare globalmente - vecchio slogan del movimento ambientalista americano, tanto per cambiare -  possa diventare un elemento cardine per rinnovare la vita collettiva e trovare un terreno comune su cui ricostruire un nuovo civismo e trovare così anche i criteri per ragionare senza isterismi apocalittici e senza semplicismi scientisti anche, ma non solo degli Organismi geneticamente modificati.


26/05/2000