Università Cattolica del Sacro Cuore

Grassi o magri? Questione post-metafisica

Ricordate il vecchio film «Poveri ma belli»? Si era negli anni ´50, all´inizio della grande mutazione antropologica che ha trasformato il modo di vivere e pensare degli italiani. E quel titolo era emblematico di ciò che stava per avvenire. Non solo perché in controluce vi si coglieva la condanna della povertà come destino (se non ricchi, almeno belli) cui si sarebbero contrapposte le opportunità offerte dal boom economico e dallo sviluppo industriale dalla fine del decennio, ma anche perché la bellezza vi appariva come valore assoluto, e incarnata nella grazia dei corpi giovani dei protagonisti. 

Che la bellezza, il godimento estetico, sia per tanta parte della cultura moderna la via per raggiungere quel bene in sé, quell´oggetto inconsumabile che si contrappone alla mutevolezza e transitorietà della vita e le dà senso una volta si sia rinunciato a un ancoraggio metafisico, è noto. I difficili rapporti fra la fede e la bellezza li si potevano già raccontare a un vasto pubblico nel 1840, come fece Tommaseo nell´omonimo romanzo, pubblicato quando il termine estetica nel senso moderno di mera forma (e come tale assoluta) aveva meno di cent´anni avendolo proposto Baumgarten nel 1750 riguardo essenzialmente al significato della poesia. 

Certo il dotto tedesco non avrebbe mai pensato che la forma estetica in un paio di secoli avrebbe trovato il suo più diffuso e universale svolgimento in quella fisica, si sarebbe identificata sempre più con la bellezza della natura prima e con quella del corpo poi. Ma così è stato. E in effetti l´estetica della produzione artistica risente ancora oggi delle diverse tradizioni, mentre Naomi Campbell o Bruce Willis sono icone mondiali; così come la maschia faccia barbuta di Che Guevara, ormai largamente sottratta a ogni riferimento politico e ideologico, o quella radiosa di Marilyn Monroe. Quello del corpo dunque è oggi il linguaggio (più) universale della bellezza, e se la bellezza è il moderno nome dell´assoluto, il corpo ne è l´espressione più intensa. Quello che può diventare oggetto di culto, cioè di fede.

Non per niente la «material girl» Veronica Ciccone ha provocatoriamente scelto di chiamarsi Madonna e di proclamarsi «like a virgin», come una vergine.  Al tempo stesso non sono più nemmeno le attrici, le quali dovevano saper recitare e interpretare una parte, esprimere una capacità emotiva e culturale insomma, il modello della bellezza. Sono sempre più le modelle, alle quali non si chiede altro che la rappresentazione silenziosa del proprio corpo. E più lentamente sulla stessa strada si stanno mettendo anche i maschietti, come la recente fortuna presso il pubblico femminile dello strip-tease maschile dimostra. Modelle e modelli che finiscono però così per essere non soggetti umani compiuti ma pallide, perché rapidamente transeunti, rifrazioni di quell´idea di assoluto, e vanno consumati sempre più velocemente e sempre in maggior quantità. Anche perché se il corpo, specie femminile, fa implicito riferimento nella nostra cultura all´eterno e all´assoluto, esso diventa la carta migliore per garantire qualunque prodotto - tanto più se effimero: dai settimanali «di cultura» all´acqua minerale - e se ne richiedono dunque forniture di dimensioni industriali.  Ma se tutto ciò è vero, è evidente altresì che in un modo o nell´altro tutti noi siamo coinvolti nel medesimo processo.

Nessuna società ha infatti dedicato mai tanta attenzione al corpo e al tentativo di riprodurre in ciascuno quell´ideale di bellezza e di assoluto. Delle conseguenze positive e soddisfacenti è inutile parlare: le conosciamo tutti. È sicuramente più piacevole spalmarsi di creme solari e abbronzarsi su una spiaggia (per le donne un´invenzione di Coco Chanel negli anni ´20) che lavorare, e qualche giorno passato in una «beauty farm» o alle terme a farsi in vario modo coprir di fango o energicamente strapazzare fa un effetto tutto differente che se questo accadesse in qualunque altro contesto.  E, se la salute ci assiste, anche il modo di usare della vita e di invecchiare diventa molto diverso.

Oggi un settantenne può girare per la campagna in mountain bike o nuotare in piscina senza apparire a nessuno bizzarro, quando non tanto tempo fa al massimo gli era socialmente consentito di camminare lentamente per accompagnare il nipotino a prender il gelato. Né, se donna, è pure obbligato a vestirsi di nero e mortificare programmaticamente il proprio aspetto.  Diverso però è se la cura di sé e del proprio corpo diventa una sfida impossibile al mutamento, o se nel fitness garantito dalla palestra troviamo l´unico modo per essere appropriati, convenienti a noi stessi e agli altri («fitness» proprio questo significa, non specificamente forma fisica), o se infine ci illudiamo davvero attraverso l´osservanza di rigide prescrizioni dietetiche o psicofisiche, come nei seguaci della new age, di raggiungere, senza ricerca d´un bene morale, un´armonia spirituale e una completezza umana.


05/08/2000