Università Cattolica del Sacro Cuore

Ottant´anni e una sfida: restare un luogo dove la cultura possa cantare fuori dal coro

La rivista «Micromega» dedica un numero ai temi della religione e fra l´altro pubblica un lungo testo di Norberto Bobbio, nel quale l´anziano studioso parla della sua educazione cattolica, del suo non credere e del mistero impenetrabile - sottolinea - rispetto ai temi della vita e della morte nell´accettare il quale fa consistere infine il proprio senso religioso. 

Rispetto alla baldanza con la quale, in un tempo non tanto lontano, il rifiuto della fede veniva proclamato sulla base di un giudizio di ragione che negava ogni possibile senso al credere, l´atteggiamento di Bobbio che rivendica una sorta di religiosità negativa nel suo non trovar risposte convincenti e appaganti da nessuna parte, segnala senza alcun dubbio un notevolissimo mutamento di atteggiamenti e sensibilità. E tanto più quando egli dichiara che tale fondo religioso per assenza, diciamo così, «mi assilla, mi agita, mi tormenta». Certo, rimane una paradossale contraddizione nel suo discorso. Da un lato Bobbio dichiara che la ragione «è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità e all´immensità dell´universo», e che essa gli appare umiliata - son parole sue - dall´incapacità di trovare il senso dell´esistenza; dall´altra afferma però di non poter non restare a ciò che gli dice la sua ragione limitata, ovvero di dover comunque misurare, e rifiutare, la fede sul metro di quella ragione di cui riconosce tutti i limiti. 

La pretesa assoluta del razionalismo scientista di giudicare la vita, cacciata dalla porta vien fatta rientrare dalla finestra e, ammantata di orgogliosa umiltà nella contrapposizione fra l´uomo della ragione e l´uomo della fede che crede le cose più assurde - secondo Bobbio - viene nuovamente esibita a negare, mi sembra alla fin fine, quello stesso dubbio prima proclamato. Lungi da me giudicare della coscienza di Bobbio o mettere in dubbio il suo tormento.

Mi sembra però che, come spesso succede, le obiezioni razionaliste alla fede cristiana, tradiscano una conoscenza degli argomenti alquanto superficiale. Così applicare una logica giuridica al concetto del peccato originale e affermare che «una colpa originaria collettiva non è accettabile, la colpa è personale, non può essere trasmessa da una generazione all´altra» significa travisare completamente la questione su cui con l´idea del peccato originale ci si interroga, quella della presenza del male nel mondo, della insensatezza, per l´appunto, della vita senza una prospettiva di redenzione da questa stessa condizione umana. Il peccato originale è l´espressione della nostra finitezza e l´aspirazione al suo superamento; non ha nulla a che fare con il diritto. Così come prendere il racconto biblico del sacrificio di Isacco richiesto ad Abramo in termini letterali e dunque assurdi, e non come espressione di una piena disponibilità ad affidarsi alla parola di Dio, e al patto con lui, anche nel momento in cui sembra che egli chieda qualcosa che con la stessa sua parola è contraddittoria, come immaginare di dover uccidere l´unico figlio da cui può venire quella discendenza pure promessa. 

Ma non è questo paradosso quello che sperimentiamo quotidianamente in qualunque rapporto d´amore quando lo riconfermiamo malgrado ogni fatica, quando ci rendiamo conto che esso vive perché ci crediamo, ovvero perché crediamo all´altro, e per esso siamo disposti a mettere in discussione le nostre certezze?  Il nodo effettivo mi sembra stia piuttosto che nelle obiezioni della ragione, nel rifiuto di riconoscere che l´uomo non è solo ragione.

Era l´obiezione che a metà ´700 faceva agli illuministi, convinti di poter per l´appunto illuminare ogni mistero e spiegare ogni cosa, Rousseau, riprendendo per certi versi l´idea pascaliana delle ragioni del cuore che la ragione non conosce. Da due secoli e mezzo la cultura occidentale si dibatte fra i due corni del dilemma, le ragioni della ragione astratta e le ragioni del cuore e del sentimento, senza riuscire a trovare una composizione soddisfacente fra le due e oscillando tra afflati romantici e durezze dogmatiche paradossalmente fondate sulle promesse sempre smentite d´una ragione che si pretende onnipotente. Anche nella forma debole espressa da Bobbio per l´appunto.

 Mentre dall´altra parte, che significano se non speranza di una pace sentimentale e arazionale le tante vie di fuga verso l´Oriente o la New, o Next, Age?  Diversamente da quel che crede Bobbio la fede cristiana non è consolatoria, anche se parla di una speranza. Riconosce umilmente la finitezza umana, ma non se ne accontenta. E soprattutto pone domande alla nostra vita, invitando a non eluderle con le scorciatoie di cui abbiamo detto, e nelle quali sembriamo esserci persi ormai da troppo tempo.


07/05/2000