Università Cattolica del Sacro Cuore

Ma che bello lo sport, se a festeggiare sono gli sconfitti

L´altro giorno a Torino è successo un fatto inusuale. C´è stata una marcia dei cinquantamila. Non era la riedizione della famosa marcia dei quarantamila quadri Fiat di un altro tempo storico. Non era nemmeno una marcia giovanile, alternativa o per la pace. Nemmeno una manifestazione dei sindacati. Erano i tifosi del Torino calcio che celebravano a modo loro la retrocessione ormai certa della propria squadra in serie B. In questi casi la notizia, se esce dalle pagine sportive, di solito finisce in quelle di cronaca nera. Per registrare disordini, assalti al pullman della società o ai giocatori, invettive al presidente, magari coltelli, e risse con la polizia. Materiale buono per deprecare il decadimento della passione sportiva, o i comportamenti disinvolti e disastrosi di società incapaci di gestire la squadra e i propri tifosi. E per tirare, con gran mobilitazione di sociologi e tuttologi, conclusioni sconsolate sul dove andremo a finire. A Torino invece ci hanno detto che potremmo andare a finire persino bene. E nessuna testa, testa di quelle che si piccano d´essere pensanti intendo, ha sprecato il suo tempo a riflettere sul fatto. Per la verità in forma più modesta proprio i bergamaschi avevano reagito in modo non dissimile a quello dei torinesi qualche tempo fa. Allorché venne esonerato l´allenatore, come si ricorderà, i tifosi allo stadio invece di farne il capro espiatorio di una stagione difficile lo salutarono con striscioni davvero affettuosi. Ma a Torino senza dubbio hanno avuto un coraggio e uno stile davvero difficili da superare, ma che si spera in tanti altri casi si sappia imitare. La retrocessione è diventata un´occasione di festa, di riconoscimento reciproco, di riconferma d´una passione e della bellezza di tale passione in sé, vada come vada, bene, o male. E vinca pure l´altra squadra cittadina lo scudetto, e magari anche la coppa dei campioni. Quanto più bella, sembrano dire i tifosi del Toro, la nostra festa, che non si soddisfa di trofei, e non si scoraggia di sconfitte. Chissà se a qualcuno, mentre camminava per Torino, è venuta in mente quella poesia famosissima di Kipling, «Se», in cui dice, più o meno, se saprai guardare con lo stesso occhio la vittoria e la sconfitta, se non perderai la testa né per l´una né per l´altra, allora, figlio mio, sarai un uomo. Tante volte si dice che lo sport è una metafora della vita, e si pensa alla competizione, allo spasimo del «più veloce, più in alto, più forte» del motto olimpico. Ma sì. La competizione c´è, e l´onesta emulazione è una spinta alla virtù, al far meglio, a superare i propri limiti quando trasposta dallo sport alla vita. Però lo sport può essere metafora anche nel suo essere gioco, bellezza e passione per se stesse, senza altro fine che il piacere di partecipare, di provarci, di ammirare chi magari sa far meglio di noi, e riconoscerne le qualità, e entusiasmarci per lui, tanto più sapendo per esperienza quanto difficile è quel che gli sta riuscendo. Vorrei dire per l´occasione che lo sport ci offre di amare, senza pretese di possesso, in spirito di gratuità. Ecco, io credo che la bellezza del gesto dei tifosi granata stia proprio in questo, nell´essere un atto gratuito, nel suo non voler giudicare, pur sapendo magari dove sono stati gli errori, e chi ha fatto, e chi avrebbe potuto fare e non ha fatto. L´anno prossimo il campionato ricomincia, ed è bello ritornare in tribuna, a gioire e patire, a partecipare. Umberto Saba, poeta celebratore di un´altra grande decaduta, la Triestina, ha dedicato una poesia al gioco. Quello delle carte, ma non fa differenza, «Quante speranze nel gioco! Ma poi, sul tavolo abbattute,/ tutte le carte erano contrarie. / Fu il destino, e l´accetto …/ …/ … conosco la scala che all´altezza/ conduce a me possibile./ Mi levo/ tra volti amici, conto il mio guadagno/». Forza Toro!

06/05/2003