Università Cattolica del Sacro Cuore

Marco d´Aviano. Combattè contro i turchi: il frate diventa beato

Quella di oggi è una scelta sicuramente scandalosa. Beatificare il cappuccino seicentesco padre Marco d´Aviano sfida la sensibilità contemporanea. Il motivo principale per il quale egli viene tuttora ricordato è infatti quello della sua partecipazione appassionata ed eloquente alla lotta contro i turchi, dall´assedio di Vienna nel 1683 fino alla riconquista imperiale e cattolica di Budapest del 1686 e di Ungheria, Transilvania, Slavonia e Croazia nei medesimi anni, gli ultimi della vita di Marco d´Aviano, morto nel 1699 e ardente sostenitore della guerra contro il «crudele inimico» turco. In effetti facciamo fatica oggi a comprendere e accettare quel cattolicesimo guerriero, quello spirito missionario per la liberazione armata dall´infedele con esiti talvolta grotteschi. A Santiago di Compostela potete trovare un santino che esalta Santiago, detto «matamoros», come apostolo della pace, nel mentre l´immaginetta lo mostra a cavallo con la spada sguainata e a terra membra sparse di arabi uccisi. Timorosi d´ogni accusa di «politica scorrettezza», pronti a sottolineare l´autorità morale del Papa quando predica la pace, e a negarla quando parla della potenza di Satana o di questioni etiche, preferiamo non interrogarci sulle ragioni di quei modi di espressione della fede e cancellare dalla memoria comune le caratteristiche «antipatiche» di quel mondo. Oppure considerarlo polemicamente espressione dell´oscurantismo religioso. In effetti era un mondo nel quale, fino alla fine del Seicento, la tolleranza tra le diverse confessioni cristiane significava comunemente quel che la parola letteralmente significa: non un valore in sè bensì la sopportazione di un male, cioè di un avversario che per qualche ragione non si poteva distruggere o allontanare. E quella «guerra santa» che i turchi conducevano allora, e tanto ci sgomenta quando evocata oggi dal fondamentalismo musulmano, era a sua volta invocata dai principi cristiani e benedetta dal Papa. Fu per l´opera dell´austero e riformatore pontefice Innocenzo XI che si giunse a stringere l´alleanza difensiva europea contro i turchi nel 1683, dal Papa medesimo largamente sovvenzionata, e a stipulare l´anno seguente addirittura una «lega sacra» d´attacco. E quando ancor oggi si celebra il 12 di settembre la festa del nome di Maria, quanti sanno che essa divenne ricorrenza per tutta la Chiesa proprio per celebrare la sanguinosa vittoria militare a Vienna contro i turchi in quel giorno del 1683? D´altro canto bisognerà pur spiegarsi come mai anche la celebrata patria delle moderne libertà, Inghilterra, avrebbe atteso il 1832 per eliminare ogni discriminazione giuridica a danno degli inglesi cattolici nei confronti di tutti gli altri. Il fatto è che fino a quando il fondamento dell´ordine politico e sociale è stato essenzialmente religioso, o comunque fortissima è stata la connessione tra fede e politica, guerra e religione inevitabilmente si combinavano. E come noi oggi non possiamo rinunciare, costi quel che costi, anche la pace, ai principi che tutelano la nostra esistenza individuale e collettiva, come la libertà e la democrazia, così nemmeno padre Marco ai suoi, e dei suoi contemporanei. Canonizzarlo non significa dunque esaltare la guerra santa, quanto la coerenza di una fede, inculturata, come si dice, nel sentire e giudicare di quella società. E che ci interpella, per continuare a usare il gergo ecclesiastichese, su come oggi si possa e debba vivere pubblicamente e collettivamente la fede; quanto sia ad esempio accettabile il corto circuito di Bush tra fede religiosa e vittoria politica. Ma padre Marco è scandaloso oggi anche per altre ragioni, forse più profonde e meno integralmente storicizzabili. Che non toccano magari tutti, certo però i credenti. Prima di diventare un ascoltato consigliere dell´imperatore Leopoldo e un suscitatore di energie militari, il cappuccino veneto fu un grande predicatore, accompagnato da fama di taumaturgo, che percorse a piedi l´Europa per sollecitare pentimento e conversione, attirando folle numerosissime malgrado si esprimesse per lo più in italiano. Già perché se la fede si deve necessariamente inculturare, ciò significa che va adattato il modo con il quale le sue verità vanno presentate e vissute, non che mutino esse stesse. E la predicazione di padre Marco, con la sua ineccepibile insistenza sul peccato mortale, sulla confessione sacramentale, sul rimettersi fiduciosi non solo a Dio ma alla Chiesa come istituzione salvivifica, con la sua insistenza anche su una devozione sensibile, non è fatto per piacere al cristianesimo razionalizzato e individualista di tanti nostri contemporanei. Quegli stessi che diffidano di pellegrinaggi e santuari, ma si estasiano all´idea di partecipare a imponenti manifestazioni di massa, bandiere varie al vento. La predicazione di padre Marco sarebbe oggi improponibile nelle forme secentesche - ma l´emozione collettiva provocata da un concerto rock in cui non si comprende magari una sola parola del cantante è tanto diversa e superiore a quella che egli suscitava con le sue prediche -? E tuttavia l´umiltà, e la confidenza inscindibile in Dio e nella sua Chiesa, davvero si possono considerare superate? Come diverso è oggi il rapporto tra fede politiche da quello d´allora, eppure rimane impossibile eluderlo, così saranno certo mutati i modi di esprimere umiltà e confidenza, e l´idea di una salvezza che coinvolge non solo la testa ma tutto l´uomo e la sua carne, ma non la loro necessità. A prenderlo secondo la lettera padre Marco è lontano da noi e improponibile, vergognosamente scandaloso per la nostra orgogliosa coscienza moderna, a considerarlo secondo lo spirito ha ancora molto da dirci, e molto può proficuamente turbarci.

27/04/2003