Università Cattolica del Sacro Cuore

Aspettando l´Europa politica

La fine di Kohl, ovvero della riunificazione della Germania. Per quanto possa sembrare paradossale l´ex Cancelliere è stato vittima dei suoi successi. Per la prima volta in queste elezioni la parte orientale della Germania ha influito in modo decisivo sul risultato finale con i suoi voti a Schroeder. La politica tedesca nove anni dopo la riunificazione brillantemente condotta in porto da Kohl non si può più giocare da Bonn verso Berlino, deve fare i conti con Lipsia e Dresda. La dialettica fra Monaco e Amburgo, fra la Baviera cattolica e moderata e il Nord protestante e socialdemocratico viene complicata da quella fra Est e Ovest, fra una società sostanzialmente assestata nei suoi equilibri e valori culturali e sociali, ed una che dai successi dei fratelli dell´Ovest trae motivo più di sfiducia in se stessa che di consolazione, le cui energie e modesti capitali rimangono marginali negli interventi sul suo stesso territorio (Berlino insegna) ed è sensibile, piuttosto che alle strategie internazionali ed europee della politica nazionale, agli assestamenti che esse sembrano minacciare a quello che rimane comunque il più ricco ed esteso Welfare State del continente.

Schroeder non può fare i conti con questi suoi elettori, così come sono gli altri, i Verdi, che contestano il modello del cosiddetto capitalismo renano osservandolo non da fuori ma, potremmo dire, dall´alto, e temendone meno la forza quotidiana che i costi di lungo periodo. Tutto ciò non potrà non influire sulle sue scelte di politica interna; ma queste finiranno per condizionare quelle nei riguardi dell´Europa. Non deve ingannare il fatto che il nuovo Cancelliere sia in corso, ancor prima dell´insediamento ufficiale, a Parigi. Più che la riconferma del tradizionale europeismo di Kohl e il pubblico riconoscimento del patto franco-tedesco, fondamento e ragione storica ultima della costruzione europea - due guerre mondiali innescate dalle divisioni intraeuropee essendo bastate -, quella visita era l´incontro fra due leaders uniti da una comune cultura politica socialista e dalla preoccupazione per i costi che l´Unione europea comporta.

Lo sforzo della Francia perché il franco non perdesse il passo nei confronti del marco e arrivasse forte all´appuntamento con l´Euro ha avuto conseguenze sociali pesanti. La possibilità che Schroeder, obbligato a una politica interna meno austera per i motivi sopra detti, può ora offrire ai governanti francesi di tirare un poco il fiato, di allargare un poco i cordoni della borsa e attenuare comunque, almeno nel breve periodo, il disagio dei ceti più deboli e la disoccupazione giovanile, appare allettante. E si può ben combinare con le preferenze inglesi per un allineamento morbido e diluito nel tempo della Gran Bretagna alle regole economiche dell´Unione, Euro in testa.

Come Kohl, anche Schroeder sa benissimo che non vi è alternativa per la Germania alla politica di integrazione europea del suo Paese. Una Germania che si isolasse solleverebbe talmente tanti timori e fantasmi del passato, implicherebbe di conseguenza talmente tanti costi per se stessa, che il gioco non varrebbe la candela. Ma Kohl aveva puntato sulla scelta europea per superare in avanti le difficoltà interne, per obbligare, per così dire, il suo Paese a seguirlo, anche quando non fosse del tutto convinto delle sue scelte di politica interna. L´unificazione, la quale non dimentichiamolo, aveva gettato i francesi nello sconforto al di là delle espressioni ufficiali di rallegramento, aveva servito egregiamente al suo gioco. Una Germania di nuovo unita, un gigante nel cuore dell´Europa, egli poteva ben dire ai suoi concittadini, non può che dar il buon esempio europeo, proprio per evitare ogni sospetto. I tedeschi devono essere i primi europei a ogni costo, e pagare gli oneri di tale onore. Kohl imponendolo ai suoi aveva imposto questo gioco a tutti gli altri Paesi. Lasciamo stare se fosse, come credo, il gioco più opportuno e quello più redditizio alla lunga per tutti. Di fatto questa sfida non poteva non essere accolta senza perdere la stima di se stessi da parte degli altri europei chiamati così inevitabilmente a rilanciare a loro volta sul piano del proprio impegno per l´Europa. Ne abbiamo dato la prova noi italiani considerando l´ingresso della lira nell´Euro una sorta di giudizio morale, prima ancora che politico o economico, su noi stessi. È vero che Prodi dapprima era andato maldestramente a cercare solidarietà per una strategia di ritardo da Aznar. Ma proprio perché non era possibile rifiutare da soli il gioco e la strategia, così ricca di valenze simboliche, di Kohl. E al tempo stesso Spagna e Italia sono arrivate all´Euro superando molte difficoltà con due maggioranze politiche differenti. Prova ulteriore che la partita era obbligata, il circolo virtuoso innescato.

Ma ora, sarà ancora così? Se una sbandierata solidarietà politica fra socialisti europei potrà mascherare il sostanziale abbandono della sfida europeista imposta da Kohl a vantaggio di una maggiore attenzione e considerazione per i costi interni a ciascun Paese dell´unificazione, che ne sarà dell´Unione europea? Oltre al disgregarsi dell´unità di intenti fra i diversi Paesi, con l´emergere di una più accentuata conflittualità infraeuropea, e al dislocarsi del confronto fra i Paesi secondo linee ideologiche ormai debolissime, si corre il rischio che gli organi dell´Unione si arrocchino in difesa dell´esistente ed enfatizzino quella via burocratica e procedurale all´Unione attraverso regolamenti di conformità e omogeneità (sta arrivando anche il suono europeo del telefono, per dirne una) che senza un reale disegno politico a giustificarli, fanno dell´Unione più un impaccio che una opportunità.

Il problema è che corriamo ora il rischio di pagare il rovescio della scelta di Kohl sopra delineata. Egli voleva mostrare l´Europa come necessità intrinseca al destino dei diversi Paesi, superiore alle contingenti e locali diversità politiche e di governo; scelta obbligata insomma cui, come si diceva, non ci si poteva sottrarre. Insistere sulla necessità della convergenza economica serviva anche a questo. Forse nella strategia di Kohl sarebbe poi venuto il momento in cui dalla costituzione economica dell´Europa si sarebbe passati ad una politica, quando i bocconi più amari sarebbero stati ormai trangugiati e i vantaggi dell´Unione si sarebbero rivelati in pieno. Fosse o non fosse così, certo ora il disegno resta interrotto e periclitante. Forse allora diventa inevitabile affrontare il toro per le corna e senza più nascondersi dietro l´economia affrontare esplicitamente il senso politico dell´Unione e questo delineare rafforzando le istituzioni europee, la loro rappresentatività popolare, la loro autorevolezza.

Può essere il momento dell´Italia. Piuttosto che nel cercare di farsi riconoscere come quarto partner di una Europa socialista, il governo italiano ha in questo disegno lungimirante la possibilità di giocare, e far giocare al nostro Paese, un ruolo da effettivo protagonista sulla scena europea. E come quello italiano, lo spagnolo. Speriamo siano all´altezza del momento e sappiano guardare avanti e collaborare, senza farsi frenare dalla diversa colorazione delle loro maggioranze, che davvero conta poco rispetto ai bisogni di fondo dei duecentoventi milioni di cittadini europei, e a quelli di tutti quegli altri che ai confini dell´Unione da essa sperano stabilità e pacifico progresso.


03/10/1998