Università Cattolica del Sacro Cuore

Cattolici, bisogna contare di più

La disputa sulla opportunità o meno che Forza Italia venisse ammessa al Partito popolare europeo con tutti gli strascichi derivatine tanto pubblici che nei rapporti personali fra i leader europei e italiani è una buona prova di quanto idee e princìpi valgano nella politica. Se guardassimo alla sostanza della cosa, ovvero al ruolo che il Ppe può effettivamente svolgere, dovremmo infatti dire che si tratta della classica tempesta in un bicchier d´acqua e, come pure si ama dire, che «altri sono i problemi!».

In effetti la situazione delle alleanze e delle linee dei partiti già aderenti al Ppe sono quantomai diversificate e determinate dagli assetti politici dei singoli Paesi, piuttosto che da una comune prospettiva cristiana. In cosa questa consista è poi questione non facile da definire, posto che il Ppe abbraccia ecumenicamente cattolici e protestanti delle più diverse confessioni e ammette dunque nel suo seno posizioni molto differenziate non solo su scelte di schieramento ma su temi etici e sociali importanti: ad esempio quello della valutazione del divorzio. Difficile dunque che dal Ppe possano venire scelte molto nette, capaci di discriminare le posizioni dei singoli partiti aderenti come cristianamente ispirate oppure no entro i diversi contesti nazionali.

Per quanto riguarda poi specificamente quello italiano, una volta che si sia consumata, come si è nei fatti consumata, la fine dell´unità politica dei cattolici e gli eredi di quella tradizione abbiano, come hanno, imbroccato le strade più diverse, diventa difficile reclamare l´esclusività della propria parte rispetto al Ppe.

Perché allora tanto interesse per entrare nel Ppe da parte di Forza Italia e tanta ostilità contro questa ipotesi da parte dei popolari? I commentatori hanno insistito su ragioni di contingenza politica, su strategie di breve respiro. E ci sono pure, senza dubbio. E però la questione va ben oltre.

Due sono, a mio avviso, i punti da segnalare. L´uno storico, l´altro di prospettiva. Lo Stato italiano dalla sua nascita ha avuto il problema del ruolo che i cattolici vi avrebbero potuto avere e viceversa i cattolici quello del loro rapporto non solo con lo Stato ma con la politica nazionale. Dopo la lunga stagione del «né eletti né elettori» cui si contrapponeva un progetto statale fortemente laicista, il famoso Patto Gentiloni segnava un compromesso fra i liberali giolittiani e i cattolici, i quali accettavano di votare quei candidati che si erano impegnati a rispettare, su alcuni temi di fondo, esigenze di principio e attese dei cattolici stessi. In cambio, i cattolici si schieravano sostanzialmente a difesa dello Stato liberale e delle istituzioni, e in particolare a favore della politica giolittiana di superamento del liberalismo classico e di cauto ammodernamento delle istituzioni e della società italiana. Un compromesso simile - di accordo politico a breve per ottenere la garanzia dei princìpi a lungo termine - fu quello che portò al Concordato del 1929 con il regime fascista.

In entrambi i casi si trattò di scelte non prive di costi per lo stesso mondo cattolico, ma alla lunga vincenti. Lo prova il fatto che la classe dirigente del Paese uscito dal disastro del fascismo e della guerra fu per lunghi anni e largamente quella cattolica che aveva potuto formarsi malgrado la dittatura e aveva saputo elaborare una linea di sviluppo rispondente alle attese e alle aspirazioni popolari.

Per conseguenza paradossale, nella stagione della Democrazia cristiana, nella quale i cattolici costituivano, come abbiamo appena accennato, l´asse portante della politica italiana, la difesa dei princìpi si manifestò da parte loro forse in modo formalmente meno intransigente: lo richiedeva l´intreccio con le ragioni politiche immediate di cui il partito cattolico doveva farsi comunque carico, a pena di perdere la propria centralità, e per il timore di delegittimare quello stesso Stato che esso aveva tanto contribuito a disegnare.

Ma finita quella stagione il rapporto fra politica e princìpi è mutato una volta ancora. Da un lato la crisi dello Stato ha offerto nuove opportunità (il principio di sussidiarietà che poteva diventare davvero operativo, ad esempio), dall´altro, complice il progresso tecnico, tale crisi ha disegnato scenari sociali terribilmente problematici, come nel caso delle questioni bioetiche. E ciò mentre l´unico principio della politica moderna sopravvissuto alla crisi della stessa - la preminenza radicale delle ragioni dell´individuo su ogni altra - è sembrato diventare incontrastato senso comune a destra come a sinistra facendo crescere le contraddizioni con i princìpi etici dei cattolici e la loro visione della società.

In questa situazione i cattolici al Governo si trovano prigionieri del paradosso della Democrazia cristiana di cui sopra si diceva, quelli all´opposizione per converso possono miscelare molto più agilmente le questioni di fondo alle ragioni tattiche e professare intransigenza sui princìpi. Da questo punto di vista ben si comprende perché l´ingresso del maggior partito di opposizione nel Ppe sia divenuta questione tanto importante. Condividere tale appartenenza da parte dei popolari italiani con il maggior partito di opposizione significa infatti trovarsi continuamente esposti alla critica che vi può essere un altro modo di far politica «certificata» come cristiana dai confratelli europei; anche se, come sopra abbiamo detto, cosa ciò significhi non sia ben chiaro, né - si deve aggiungere - sia ben chiaro in cosa consista l´ispirazione cristiana di Forza Italia, almeno attualmente.

La divisione dei cattolici e il rischio di strumentalizzazione dei principi che ne deriva obbliga al tempo stesso la Chiesa a una esposizione politica - non so quanto gradita alla medesima - molto maggiore che nel passato, e simile piuttosto a quella del periodo liberale e fascista.

E non vi è dubbio che di fronte alla gravità dei problemi con i quali oggi ci si confronta, che coinvolgono l´idea stessa di uomo e di famiglia, e in definitiva di società, la Chiesa non possa tacere. E parlando mostra come quello manca, e che è invece urgente, è una capacità di elaborazione alta su questi temi da parte dei politici che si dicono di ispirazione cristiana.

Al tempo stesso, ed è l´ultima considerazione, che in un´epoca di larga scristianizzazione e di acquiescenza ai diktat dell´individualismo più sfrontato sia importante ottenere il marchio di «partito di ispirazione cristiana» la dice lunga sul ruolo che si sente tuttora riconosciuto dagli italiani come popolo e Paese al cristianesimo e al magistero di vita della Chiesa. Come se solo essa potesse davvero garantire una prospettiva non miope e non strumentale.

Ma campo della Chiesa sono i princìpi e i valori ultimi, non la politica quotidiana. Come nel passato, non è questo che la stessa può provvedere. Per questo occorre allora, con urgenza e al di là dei battibecchi e malumori personali, una reinvenzione della politica da parte dei cattolici laici oltre la politica moderna. Almeno un loro contributo a questo.


17/06/1998