Università Cattolica del Sacro Cuore

Da Kennedy a Bill quell´America in cerca di virtù

John Kennedy era un dongiovanni, se no - dichiarò un amico - gli veniva mal di testa. E gli agenti di scorta a Jacqueline in giro per Washington dovevano avvertire la Casa Bianca quando stava rientrando, per dare modo al Presidente di farsi trovare solo soletto. Non saranno poi state tutte come la mitica Marilyn, ma sembra improbabile assomigliassero alla povera Monica. Un grande peccatore, se vogliamo un peccatore in grande Kennedy. Niente a che vedere con Clinton e le sue storie miserabili. Di cui però sappiamo tutto o quasi, mentre di Kennedy allora chi sapeva - ed erano evidentemente tanti - tacque e solo ora, e per cenni, siamo venuti a sapere qualcosa. D´altro canto nessuno allora provò a metterlo in trappola contestandogli le sue avventure amorose e gli obbligati dinieghi. Come mai?

È l´America d´oggi più virtuosa ed esigente di quella d´allora? Difficile sostenerlo. Il mito di Kennedy si alimentò allora, e ancora oggi, del soffio di idealismo e innocenza che seppe suscitare col richiamo a una «nuova frontiera», ai «corpi per la pace», al generoso «anch´io sono berlinese» dichiarato nella città stretta dal Muro, alla lotta contro la discriminazione razziale nel Sud. Con questo, e non con altro - che pure ci fu: a cominciare dallo sbarco anticastrista nella baia dei porci - egli e la sua politica furono identificati e accolti dagli americani assetati di ideale dopo i cupi e grigi anni ´50.

Era allora l´America meno puritana di oggi? Anche questo sembra difficile da sostenere osservando l´evoluzione del costume in questi trent´anni e l´esibizione attuale della progressione e della violenza.

E dunque? Forse il problema va rovesciato. Proprio perché l´America d´oggi è meno certa della sua virtù e dei suoi valori è così ansiosa di ogni macchia e menzogna. Il famoso film di Coppola sul Vietnam, Apocalipse Now, era modellato sul romanzo di Conrad, Cuore di tenebra, ed era la storia della perdita dell´innocenza del proprio agire e della propria causa, era la storia della scoperta del male inestirpabile e sempre in agguato nell´anima dell´uomo.

Era una riflessione su quel peccato originale la cui esistenza l´America aveva sfidato fin dalle sue origini, quando Giorgio Washington nel primo discorso alla nazione come presidente aveva dichiarato che gli Stati Uniti erano un sacro esperimento quale mai prima d´allora era stato tentato, erano cioè un mondo nuovo, diverso e non corrotto, della cui possibilità chiamavano Dio a testimonio. In Dio noi confidiamo, sta scritto ancora oggi su ogni monetina.

Ci sono state altre crisi da allora nella coscienza americana, ma quella provocata non dalla vita ma dalla morte tragica e oscura di Kennedy e di suo fratello Robert, e poi per l´appunto dalla guerra del Vietnam, ha continuato a logorare la fiducia in sé del Paese. E la stessa fine vittoriosa del confronto con l´Urss (l´antagonista non a caso qualificato come l´impero del male da Reagan, il quale così evocava una strutturale virtù del proprio) lungi dal risolverle ha accresciuto le difficoltà e le incertezze degli americani. Dove stanno il bene e il male, e come mai malgrado la scomparsa dei cattivi l´ordine americano non regna? E anzi, come gli attentati in Africa nei giorni scorsi provano, può suscitare l´odio? Forse che il sacro esperimento, il mondo nuovo non è poi così diverso da quello vecchio? E allora che cosa può motivare una particolare responsabilità, impegno e serietà degli americani rispetto al resto del mondo? Perché, come recita lo slogan sulle magliette, «l´americano è orgoglioso di esserlo»?

In questa situazione d´incertezza, di difficoltà a riconoscere e stabilire i principi a cui ispirarsi, insistere sulla morale sessuale del presidente - che se ha mentito certo non l´ha fatto per ragioni politiche quanto private, come ogni marito fedifrago - è forse un modo per ritrovare un punto incontrovertibile di distinzione fra bene e male, giusto e sbagliato. Il procuratore speciale Starr è insomma il regista della messa in scena, ad uso planetario, della capacità degli americani di trovare il bene e denunciare il male. Costi quel che costi. Anche lo sbugiardare il presidente su una questione in sé politicamente irrilevante, e che tale sarebbe stata considerata - lo testimonia la vita di Kennedy - da un´America più sicura di sé.

Più o meno quando Washington proclamava il sacro esperimento, Mozart ne Le nozze di Figaro prendeva in giro la società aristocratica della vecchia Europa facendo constatare al conte, timoroso del (simulato) tradimento della moglie e della perdita che ne sarebbe conseguita nel suo onore, dove mai si fosse cacciata la certezza del medesimo. Quando siamo arrivati alle mutande, e alle macchie sui vestiti, ebbene allora eravamo e siamo proprio in brache di tela. Come che vada a finire la vicenda di Clinton, Starr non potrà che mettere in scena una tragicommedia, l´illusione della ricostituzione dell´onore e della virtù. La conferma della loro crisi e della radicale difficoltà politica della superpotenza. Che Dio ce la mandi buona. Ma forse una speranza c´è. I sondaggi dicono che gli americani confermano la fiducia nel presidente indipendentemente dalla vicenda. Forse è un modo per dichiarare che non sono diversi. Se così fosse, da una simile più umile consapevolezza insomma di essere macchiati anch´essi dal peccato originale potremmo dire, può nascere una nuova cultura politica e civile; capace di motivare il loro agire, comunque fondamentale per gli equilibri mondiali e, in definitiva, per la vita di tutti.


18/08/1998