Università Cattolica del Sacro Cuore

Dalla contestazione all´indifferenza

La Chiesa italiana si sta ponendo con forza il problema dei giovani: che cosa sia per loro non solo fede ma verità di fede, come essi vivano - quando la vivano - un esperienza di fede.

È interessante che qualcuno come l´arcivescovo di Vercelli mons. Masseroni, rivaluti, per così dire, oggi l´esperienza del ´68. Forse perché quei giovani che contestavano l´istituzione, che si ritrovavano in «comunità di base» e magari proponevano «controquaresimali», alla fin fine nel comportarsi così dimostravano pur tuttavia di prendere sul serio l´istituzione, e confrontarsi con essa e con la tradizione che proponeva. Ritenevano insomma che senza mutare l´istituzione stessa nemmeno la loro vita di fede sarebbe stata feconda.

Manca ancora una seria ricerca su quel che sia avvenuto poi, non di singole forti esperienze, ma di quella diaspora complessiva cui diede luogo in ambito ecclesiale la «controcultura» sessantottina e l´intreccio che allora si esasperò sui temi del potere e della politica; e sarebbe ora che si indagassero davvero i percorsi di quella generazione.

Oggi constatiamo, nelle parole della ricerca del prof. Pollo presentata all´ultima assemblea della Cei, che i figli di quella generazione hanno comportamenti e atteggiamenti molto diversi da quelli dei loro padri. L´«istituzione Chiesa» non è più contestata, ma per quanto essa sia mutata, teme di non essere più capace di porsi come interlocutore autorevole e «generale» dei giovani.

Si nota - dice la ricerca - un sincretismo etico e, potremmo dire, la costruzione di una sorta di Cristianesimo «fai da te», grazie al quale si prende ciò che corrisponde alle proprie esigenze e si trascura senza rimorso il resto. Si nota pure una sottolineatura esclusiva del Dio Amore, ovvero un Dio cui si chiederebbe ascolto e protezione, e in ciò si ritrova il riflesso di una «maternalizzazione dell´educazione».

Sono fenomeni indubbiamente nuovi e di grande rilievo ma che, a mio avviso, non legittimano una valutazione pregiudizialmente negativa di questa generazione. Alla fin fine il primo a parlare di un Dio madre, anzi «mamma», fu lo stesso Giovanni Paolo I in quello che è rimasto probabilmente il più famoso dei suoi pochi discorsi; e se si vanno a leggere le linee guida del catechismo della Cei si vedrà che l´insistenza sull´amore di Dio vi è fortissima.

Così come tra i teologi è spesso evidente - penso per stare vicino a noi alla cosiddetta «scuola di Milano» - l´insoddisfazione per una teologia che privilegi su ogni altro un dato di astrattezza razionalista. Questo per dire che i giovani non vivono in realtà in un mondo «altro», ma in maniera più immediata, e magari rozza o irriflessa, traducono nel proprio modo di vivere una crisi, cioè una trasformazione epocale del soggetto, del rapporto individuo-società, natura-cultura, e ovviamente uomo-Dio.

La cultura post-tridentina in modo coerente con le tendenze filosofiche del tempo contribuì potentemente a elaborare l´idea dell´individuo moderno (il padre Jean Robert Armogathe l´ha brillantemente spiegato nel recente volume su I tempi del Concilio curato da chi scrive e da Danilo Zardin, Roma Bulzoni 1995). Si pensi in proposito a quanto di ciò è presupposto nella pratica, allora nuova, dell´esame di coscienza, propagandata dal pure nuovo ordine dei Gesuiti.

Oggi quell´individuo giunto alla sua apoteosi superoministica ha perso la fiducia in se stesso. Già negli anni ´30 Robert Musil parlava dell´«Uomo senza qualità», ovvero delle qualità senza l´uomo. Di ciò non si può dunque non prendere coscienza anche in campo ecclesiale.

Ancora una volta siamo di fronte alla necessità di inculturare nuovamente il Cristianesimo. Credo che l´impegno per riuscirci non possa essere inferiore a quello che portò alla ridefinizione del cattolicesimo post-tridentino, il quale ha trovato l´ultima sua realizzazione, e al tempo stesso il suo superamento, nel Vaticano II.

Jean Danielou in un suo libro si chiese come mai una volta i teologi fossero anche santi e oggi non più. Potremmo aggiungere a loro confusione la constatazione che recentemente il Papa ha ritenuto di poter proclamare dottore della Chiesa Teresa di Lisieux, una monaca morta giovanissima e priva di una compiuta formazione culturale. Che il problema allora più che dei giovani sia dei pastori e del popolo di Dio nel suo complesso?


12/11/1998