Università Cattolica del Sacro Cuore

«Difesa dei valori in autonomia». Battista Bonfanti a proposito dell´articolo di Cesare Mozzarelli «I cattolici, Panebianco, i numeri deboli e le idee forti»

L´«Eco di Bergamo» ha ripreso, con un intervento di Cesare Mozzarelli, l´articolo con il quale il politologo Angelo Panebianco dalle colonne del «Corriere» ha predetto, tra l´altro, la fine del Partito Popolare.

Poiché il commento del collaboratore di questo giornale si è tenuto sul terreno esclusivo della rappresentanza dei cattolici, può essere utile aggiungere una ulteriore riflessione allargando il discorso alla funzione e quindi al destino possibile del Ppi.

La prognosi così infausta per il Ppi fatta da Panebianco non deve inquietare più di tanto i Popolari perché si regge su presupposti in larga misura errati e inconsistenti.

Ancora una volta la cultura laica dimostra incapacità a capire la realtà cattolica e con essa gran parte della stessa storia del nostro Paese.

I cattolici democratici (perché di questo si parla e non tanto della sinistra Dc, quando ci si riferisce al Ppi), sono in politica non per difendere gli interessi legittimi della Chiesa, come sembra intendere Panebianco, anche se la libertà e l´indipendenza della Chiesa sono per essi valori irrinunciabili.

Se il problema fosse infatti solo questo, non vi è dubbio che oggi la Chiesa italiana ha sufficiente forza morale e autorevolezza per affermare i propri diritti e i propri legittimi interessi sia verso lo Stato che verso la politica.

In realtà la storia dei cattolici democratici (ossia del popolarismo sturziano) nasce dall´ambizione di stare in politica «da» cattolici, cioè in quanto portatori di una specifica cultura politica, originale e distinta da altre culture politiche, come quella liberale o socialista o marxista ecc. e tale cultura politica non è riducibile alle categorie della destra o della sinistra.

Basterebbe ad esempio citare alcune questioni come la difesa della vita, la bioetica, l´eutanasia, il primato della persona e la centralità della famiglia e via discorrendo, per rendersi conto di tale specificità ma l´elenco potrebbe estendersi anche alle questioni dello Stato, della cultura, dell´educazione, dell´economia e quant´altro.

Se il presupposto è questo - e cioè l´esistenza di una cultura politica cattolico-democratica - la nostra ambizione di Popolari non è quella di rappresentare i cattolici italiani - e tanto meno tutti i cattolici - ma molto più laicamente di realizzare sul terreno della politica quella cultura di riferimento con tutte le necessarie mediazioni imposte dal fatto che come Ppi non rappresentiamo appunto tutti i cattolici e ancor meno tutto il Paese.

In questa ottica una presenza come la nostra non può essere misurata sul metro dell´utilità alla Chiesa o ai cattolici bensì al Paese e alla società italiana.

Per questo motivo i Popolari chiedono il consenso agli italiani tutti e non ai soli cattolici. Se poi questo consenso è modesto (come in effetti oggi è), se ne possono indagare le cause e trovare i possibili rimedi, ma non si può sentenziarne automaticamente il superamento storico.

La fine, da alcuni auspicata, della presenza organizzata dei cattolici in politica comporta infatti il ritorno alla pratica del clerico-moderatismo.

Se una differenza netta e invalicabile c´è sempre stata, fin dalle origini, tra il clerico-moderatismo e il cattolicesimo democratico sta proprio qui: il primo si proponeva come strumento docile al servizio della Chiesa (intesa come istituzione terrena) nel confronto/scontro con lo Stato, il secondo come strumento di presenza autonoma e responsabile dei cattolici in quanto tali dentro la politica e quindi nelle articolazioni dello Stato (dal Comune al Parlamento).

Non vi è dubbio sul fatto che il laicismo nostrano - da quello liberale e giolittiano del Patto Gentiloni a quello fascista del Concordato - abbia sempre preferito avere a che fare con il clerico-moderatismo.

E infatti, quando si realizza il regime fascista, Sturzo e Donati vanno in esilio mentre diversi esponenti clerico-moderati entrano nel primo gabinetto Mussolini.

Non stupisce quindi l´esultanza di tale laicismo di fronte alla prospettiva che anche in Italia ci possa essere finalmente un quadro politico senza nessun partito di ispirazione cristiana.

Stupiscono invece l´indifferenza e l´acquiescenza di parte del mondo cattolico.

Eppure proprio l´esperienza di questo secolo è lì a dimostrare l´inconsistenza dell´esperienza clerico-moderata: lo stesso Mussolini che nel ´29 «regala» alla Chiesa il Concordato, pochi anni dopo nel ´36 le nega la libertà di educazione e comprime gli spazi formativi dell´Azione Cattolica.

Una presenza puramente contrattualistica dei cattolici in politica può certamente dare utilità alla Chiesa e alle sue opere, ma comporta un prezzo assai pesante: la rinuncia ad una reale autonomia dei cattolici in quanto tali in politica (senza neppure la certezza che le concessioni strappate verranno poi realmente onorate).

La tentazione di ricacciare i cattolici entro il recinto delle opere pie e misericordiose tenendoli lontani dagli affari della politica e dello Stato sembra risorgere, sotto altre spoglie, sul finire di questo secolo che pure era iniziato con le prime sconfitte di quella insostenibile pretesa laicista.

 

21/11/1998