Università Cattolica del Sacro Cuore

L'attualità di Lorenzo Lotto

Mentre le manifestazioni per Lorenzo Lotto si avviano alla conclusione, può essere utile tentare un primo bilancio dei risultati culturali delle inizitive bergamasche. Va sottolineato in primo luogo il positivo effetto della riscoperta da parte dei bergamaschi stessi dell´importanza di un patrimonio artistico così quotidianamente e diffusamente disponibile in città e nella provincia da divenire quasi invisibile per chi ha la fortuna di poterne godere abitualmente. Sembra questa una indicazione importante per tutti coloro che hanno la responsabilità della politica culturale a Bergamo. Non si può infatti dare per scontata la memoria della storia e della cultura locale: essa va continuamente studiata e illustrata, resa presente affinché possa costituire la base della identità dei bergamaschi e del loro progettare il proprio futuro. Chi non sa da dove viene non sa dove si trova, nè può perciò decidere dove vuole andare. O meglio andrà passivamente dove altri gli suggerirà di andare nella indifferenza a chi gli sta intorno. Si parla tanto di crisi della identità sociale, di massificazione, e così via: la coscienza della propria storia è sicuramente uno degli strumenti più importanti per combattere non solo a parole tutto questo, e assicurare la vitalità della collettività locale. Ovviamente tale storia deve essere critica per garantire la costruzione della memoria, cioè di un senso del proprio passato. Se ci si limita a ripetere stereotipi culturali ormai ossificati, se ci si arrocca nella difesa di una tradizione che non sa più parlare ai contemporanei, si finisce per disperdere quel senso, col risultato già largamente raggiunto, per stare al nostro esempio, della invisibilità di quel Lotto pur diffuso nella Bergamasca, e in definitiva con quello più generale della mutilazione della coscienza collettiva.

Da questo punto di vista il convegno su Lorenzo Lotto organizzato nella seconda metà di giugno dal Centro Rezzara in collaborazione con vari altri enti, a cui hanno partecipato numerosi studiosi italiani e stranieri di alta qualificazione, ha rappresentato un momento di grande importanza e vitalità culturale. Va sottolineato in particolare lo sforzo di ripensare criticamente l´attività del pittore entro la cultura del suo tempo. Esemplare in questo senso è stato l´intervento di Augusto Gentili dal provocatorio titolo di «Lotto, Cariani e storie di scoiattoli». A leggerlo così verrebbe da pensare alla classica ricerca erudita su un particolare pressoché irrilevante: la presenza in diverse tele di Lotto dello scoiattolo. Già notata, era stata da qualcuno risolta con la constatazione che c´erano, e ci sono, molti scoattoli sulle Orobie: lo scoiattolo come concessione al colore locale insomma. Dietro la banalità della spiegazione stava in realtà una linea interpretativa tradizionale convinta che ci si potesse porre di fronte al quadro per coglierne degli autonomi e assoluti valori estetici presupposti come perenni e sui quali giudicare la grandezza del pittore. Rispetto ad essi, che importanza poteva avere la presenza di uno scoiattolo piuttosto, che so, di un cagnolino? Linee, forme, colori, questo rilevava; su questo si poteva esercitare il virtuosismo del critico che spiegava in definitiva che attraverso la percezione estetica da lui stesso illuminata al lettore il passato era sempre nostro contemporaneo, non diverso da noi. In questa prospettiva il passato valeva perché riducibile alla contemporaneità, non perché diverso e irriducibile alla contemporaneità stessa. Questo ha invece cercato di mostrare Gentili, e con lui molti nel convegno. Che occorre capire le ragioni del pittore non solo sul piano estetico, ma anche su quello della cultura, del senso cioè che egli si propone di trasmettere con la propria opera. E per far ciò deve usare delle immagini che siano comprensibili a coloro che quel quadro in quel momento vedono. Lo scoiattolo conosciuto come rappresentazione dell´inquietudine e dell´attenzione, dunque, ci dice qualcosa del personaggio e della situazione raffigurante. Soffermarsi sullo scoiattolo in Lotto e nei pittori che a lui si rifanno è perciò un invito a intendere di loro la complessità e secondo i loro codici comunicativi. È un modo per dire che se noi non cerchiamo di conoscere quella cultura finiamo per comprendere in modo molto superficiale quell´opera. E se non lo sapremo leggere lo traviseremo e impoveriremo. Al punto da renderlo incomprensibile e inutile per la costruzione della memoria di coloro che oggi se lo trovano quotidianamente vicino e che del Capolavoro dichiarato tale ma secondo una cultura idealista non più loro, nulla sanno che farsene.

Allo stesso modo, la supposizione che la storia si conosce solo rendendola nostra contemporanea, solo applicando ad essa i nostri criteri di oggi, vale negli altri ambiti, e vi comporta eguali fraintendimenti. Anche di questo al convegno si è parlato. Come altrimenti si può leggere in chiave contemporanea (di una società fondata sulla preminenza dell´individuo) lo scontro fra i cristiani che protestavano e quelli che obbedivano alla chiesa di Roma se non in termini di ricerca della libertà contro conculcamento delle coscienze? Una volta stabilita questa premessa (e stabiliti buoni e cattivi) ogni inquietudine, ogni domanda di fede, ogni evoluzione legata magari proprio al desiderio di corrispondere meglio a quella azione della grazia che si riteneva, da parte di tutti, operante nel mondo, non poteva non significare adesione agli ideali dei riformatori. E ogni successiva soluzione diversa dall´esplicito rifiuto delle verità di fede quali proposte dalla chiesa romana come arretramento, disciplinamento, resa al terrore clericale. Così bisognava leggere la vicenda dello stesso Lotto (e interpretare le sue opere), di un cristiano sicuramente sensibile alle domande di fede ma che, poveretto, finisce la sua vita ritirato nel santuario di Loreto sotto l´occhio vigile e disciplinatore dei Carmelitani dell´Osservanza. Anche in questo caso non rendersi conto di quanto fluida fosse la situazione fino alla metà circa del Cinquecento, come l´interrogazione religiosa della propria coscienza e il confronto con le diverse proposte fosse ampia, e incerta l´elaborazione di risposte alla crisi di principio secolo che porta a dar risposte senza nemmeno porsi le domande. A catalogare gli uni come eretici, gli altri come repressi e repressori. Molto giustamente, a mio avviso, Daniele Montanari nella sua ricca relazione ha mostrato come tutto questo travaglio trovi soluzione nella bergamasca (ma non solo), nella maturata riconferma della fedeltà alla chiesa di Roma testimoniata dall´impegno collettivo per l´erezione di chiese, la domanda di nuove parrocchie, la diffusione delle confraternite. E come di ciò si debba tener conto per valutare quanto allora accadde e quanto si pensò. E quanto allora si creò. Se non ci si rende conto dell´impegno di fede di quei bergamaschi lungo il Cinque e Seicento di nuovo si rimane ciechi di fronte ai molteplici segni che hanno definito la forma del territorio ancora fino ad oggi, e si finisce per non sapere come fare i conti con essi per progettare il comune futuro. Le celebrazioni lottesche insomma hanno mostrato che investire in cultura non è un lusso o una perdita di tempo, ma una necessità. E che meritoria è l´opera di chi a questo si impegna.


07/07/1998