Università Cattolica del Sacro Cuore

La Chiesa nell´era della debolezza

La religione ha di nuovo successo, successo di attenzione e di interesse, nota Filippo Gentiloni in un recentissimo libretto su La Chiesa postmoderna (Donzelli 1998), e però la secolarizzazione avanza comunque. Il Papa è una star televisiva e mediatica, ma sono dei «fedeli» quelli che lo ascoltano o vanno a vedere? E se le trasmissioni a carattere religioso stanno aumentando non solo da noi ma in tutto il mondo, come ci concilia questo con una pratica religiosa che se ormai non decresce violentemente nemmeno aumenta; e come si concilia, ancora, tutto ciò con comportamenti diffusi anche tra i cosiddetti praticanti che sembrano trascurare o meglio interpretare liberamente le indicazioni della Chiesa stessa?

Sono constatazioni e domande che non si fa soltanto Gentiloni. Nota ad esempio Gianni Ambrosio, in una sede insospettabile come i Quaderni del Seminario di Bergamo, che la trasformazione in corso dei valori «provoca uno spostamento di accento e di sensibilità circa il modo di intendere i peccati: l´attuale osmosi etica fa slittare di gravità gli atti concernenti i precetti religiosi e la sfera sessuale, mentre accentua la problematica morale inerente alla socialità e ai rapporti» con il mondo circostante.

Andiamo allora forse, come recita il titolo del Quaderno n. 13 (1997) verso Credenti senza la Chiesa?, verso - è il sottotitolo - una Unità della fede nella pluralità delle credenze? Ma che implica questo? Come si combinano fede e credenze, ovvero come si presenta e propone oggi il Vangelo e cosa significa per la Chiesa evangelizzazione? Da quest´ultimo tema osserva il paesaggio attuale un altro saggio, quello di Giuseppe Colombo, già preside della facoltà di Teologia dell´Italia settentrionale (Sulla evangelizzazione, Glossa 1997). Circola per tutti questi interventi una consapevolezza comune: quella dell´essere entrati nel tempo della postmodernità e di aver a che fare la Chiesa con una umanità e una cultura per molti versi ancora una volta inedita e che le propone sfide opportunità e una cultura per molti versi ancora una volta inedita e che le propone sfide e opportunità nuove.

Tutti gli autori che stiamo considerando osservano che il lungo cammino di accettazione della modernità compiuto dalla Chiesa deve oggi essere ripreso perché si è passati da quel tempo che si caratterizzava per la cultura «della ragione» ad uno che si connota come «del gradimento». Se la prima «si fondava sulla convinzione che se era la felicità del destino proposto agli uomini, lo si poteva raggiungere solo seguendo la vita della ragione», la seconda, delusa dai «risultati deludenti addebitati all´illuminismo che aveva promesso la città del sole» e prodotto il deserto, ha dichiarato l´inconsistenza e l´impossibilità di ogni fondamento sul quale fissare le proprie scelte, e affermato «che ogni uomo dispone con assoluta libertà della propria esistenza, senza poter trovare ostacolo nella propria "diversità"» così che l´unico limite proponibile è quello «derivato dalla necessità della convivenza»; con la esclusione quindi di ogni predeterminazione di prospettive e obiettivi comuni alla convivenza stessa.

Se perciò, conclude il ragionamento Colombo, nell´età moderna la Chiesa poteva legittimarsi in definitiva solo «dimostrando la propria coerenza con la ragione», o con l´immagine illuminista della ragione, in quella postmoderna, nessuna dimostrazione le è più chiesta e le è riconosciuto pacificamente il diritto di proporre se stessa: una diversità fra le tante, quasi un «sito» da visitare alla ricerca di qualcosa che eventualmente fa al caso del navigante nella rete, senza centro e senza orizzonte, delle possibili offerte di senso e soddisfazione individuale.

In tale situazione tutto il lavoro compiuto per dimostrare la compatibilità del messaggio evangelico con la ragione fino al Vaticano II e ai suoi sviluppi negli anni Settanta perde di rilievo per gli uomini postmoderni i quali non hanno più un progetto di vita forte al quale coniugare un messaggio evangelico altrettanto forte. Non è il Vangelo a diventare debole evidentemente, ma non è un caso, come notano diversi degli autori considerati, che il tema della vita oltre la morte, della Resurrezione della carne e del Giudizio universale, abbia perso di importanza e suggestione (solo il 40% degli italiani riferisce Ambrosio vi crede) e nella stessa pastorale trovi poco spazio. Altri sono i temi sui quali l´uomo di oggi appare più sensibile e la Chiesa ritiene di poter trovare la via per proporre e portare all´imitazione di Cristo attingendo al deposito inesauribile del Vangelo. Basta considerare i temi che quasi ossessivamente ritornano nelle stesse «preghiere dei fedeli» previste dalla liturgia della Messa e sovente nelle prediche. Così che Gentiloni (ma accenti simili si ritrovano negli altri) parla di un doppio spostamento nel cattolicesimo, dal dogma al sociale e dal metafisico allo psicologico rintracciabile non solo nell´invocazione ricorrente alla serenità e alla pace, pace fra gli uomini, ma anche pace del cuore.

Non vi è da scandalizzarsi nel constatare questi mutamenti d´accenti: la Chiesa nella storia non può che inculturare, come si dice, incessantemente e sempre di nuovo il Vangelo e la fede nel Cristo, salvatore per tutti gli uomini al di là delle loro determinazioni culturali. E tuttavia il problema del postmoderno rimane, come rischio e come sfida. Gentiloni e Colombo, come dicevo, usano lingue diverse ma è interessante notare come alla fin fine molto dell´uno sia traducibile nell´altro e viceversa.

Nel primo emergono gli echi del radicalismo postconciliare - del cattolicesimo contro la Chiesa intesa come gerarchia per intenderci - e nell´indicazione della povertà come via per il cattolicesimo postmoderno - povertà di soldi, di potere, di sicurezze, e di certezze di verità, di parole - mi sembra rispunti una paradossale certezza tutta moderna di assolutizzazione di una via e conseguentemente di un rigorismo discriminante il quale, prendo a prestito la frase di Colombo senza implicare la responabiltà di lui nell´uso che ne faccio, mi sembra tenda a contraddire «lo spirito e il senso dell´Evangelo, più vicino ai pubblicani peccatori che non ai farisei supersanti». Gli uomini spirituali, diceva un giorno un vecchio gesuita, possono anche diventare macchine di morte.

È questo un rischio che mi sembra non corra la proposta di Colombo il quale pure insiste sul fatto che l´efficacia della evangelizzazione (una pretesa di ricchezza potremmo dire per riprendere l´elogio della povertà prima fatto) non deve preoccupare la Chiesa di oggi. Egli indica nello stesso tempo con grande finezza le possibili novità positive insite nel postmoderno. Esasperando la finitezza dell´uomo e riconoscendola, «l´età postmoderna ha dissipato e precluso ogni possibilità di salvezza per l´uomo» su di lui stesso fondata ed ha in questo senso liberato la Chiesa dai vecchi vincoli culturali che la obbligavano a dimostrare la propria superiorità di ragione ai moderni razionalisti cui si rivolgeva, ma la costringevano con ciò stesso a inscriversi essa stessa nello svolgimento unico del pensiero occidentale.

Mi sembra che la Chiesa italiana, lanciando, come ha fatto, il tema di un progetto culturale e riconoscendone la necessità, ha colto con chiarezza l´esigenza e l´opportunità di un ripensamento profondo del suo rapporto con il mondo in questa fase nella quale rispetto agli interlocutori il timore maggiore è quello di una sfinita debolezza da soccorrere, non certo di una aggressiva contrapposizione verso la quale giustificarsi. L´esistenza cristiana può così sottolineare un dato che è antitetico rispetto ai rischi moderni della supersanità: il fatto di essere definita, come scrive Colombo, dalla consapevolezza duplice della distanza incolmabile dal suo modello, Gesù il Cristo, e dalla propria fragilità. Esse «insieme costituiscono l´esistenza cristiana in una tensione permanente e in un continuo ricominciamento» che garantisce la speranza; forse la merce più rara sul mercato della postmodernità e una responsabilità grave, in questo senso, per i cristiani.


04/06/1998