Università Cattolica del Sacro Cuore

La cura Di Bella a furor di popolo

Di Bella contro Bindi, Tar contro Governo, medici divisi, manifestanti in piazza, interviste quasi quotidiane al professore o al figlio nei telegiornali e sulla carta stampata, la somatostatina entrata nel linguaggio comune, i partiti schierati da una parte o dall´altra, o sollecitati a farlo: ormai la cura Di Bella è diventata affare nazionale.

Se non avesse a che fare con la vita e la morte delle persone la si potrebbe davvero trattare come una classica commedia all´italiana. E invece no, è questione drammatica. E non solo perché coinvolge il dolore e la speranza degli uomini, punto primo in ogni caso, ma anche per quel che ci dice delle trasformazioni della società italiana. Su questo giornale si è spesso parlato di postmodernità. Qualcuno potrà aver pensato che si trattava di una formula brillante e comunque del tutto astratta. Il caso Di Bella costituisce la prova che in realtà non si può sfuggire nemmeno nella vita individuale alla storia comune e che le trasformazioni sociali coinvolgono anche i più distratti.

Non è la prima volta che qualcuno annuncia di aver trovato finalmente una terapia particolarmente efficace contro il cancro, e che i giornali ne danno notizia. Ricordo molti anni fa il dottor Bonifacio, un veterinario che sosteneva di aver trovato nelle capre la soluzione. Lo ricordo perché alcuni giornali e settimanali si schierarono decisamente dalla sua parte portando anche testimonianze, e il suo caso ebbe di conseguenza una certa risonanza. Dopo qualche tempo però tutto finì. Malgrado i giornali, non vi furono per lui manifestazioni e sollevazioni popolari. Né d´altra parte mi sembra che mai ve ne siano state delle proporzioni di quelle che hanno segnato il caso Di Bella. Non sto dicendo che come si era illuso il dottor Bonifacio così lo sia il professor Di Bella. Come spiegava su questo giornale il professor Morbelli tempo fa, talvolta le scoperte in medicina avvengono ad opera di personaggi considerati marginali dalla scienza ufficiale e dalla stessa spesso osteggiati. Da qualunque parte un rimedio anche parziale alla morte per tumore possa venire, perciò ben venga.

Ma la novità postmoderna nel caso Di Bella è per l´appunto che fino a poco tempo fa contro i dubbi e le resistenze della medicina ufficiale le proposte, giuste o sbagliate che fossero, finivano per infrangersi senza speranza; salvo eventualmente essere recuperate anni e anni dopo.

Malgrado le campagne di stampa, malgrado la passione di chi le nuove cure proponeva, la gente nella grande maggioranza rimaneva fredda.

La parola dei medici era decisiva per orientare il giudizio. Di fronte alla scienza che parlava ex cathedra ci si inchinava accettando il verdetto; anche quello di morte.

Oggi invece la cura Di Bella è stata imposta a furor di popolo alla medicina ufficiale e alle stesse strutture pubbliche e di governo. Nemmeno l´aver messo in gioco il prestigio del ministero della Sanità è servito a placare proteste e richieste.

Si è anzi arrivati a uno scontro fra poteri dello Stato che pare dovrà essere arbitrato dalla corte costituzionale, e forse solo perché più in là non si può tecnicamente andare.

Ora, il fatto è che tutto ciò è accaduto prima che la cura Di Bella potesse esser provata secondo le regole comunemente osservate. Il giudizio su di essa si è in altre parole celebrato in piazza e «la gente» ha imposto la sua volontà.

Ma qui sta il punto. Tale volontà non si è formata scientificamente, anzi ha assunto l´aspetto di una radicale sfiducia nella scienza. La scienza cioè si è dimostrata incapace di essere autorevole, persino quando ha messo in campo gli oncologi di maggior grido massmediologico, e quegli stessi istituti che fino a ieri si proponevano ed erano riconosciuti come promotori e collettori degli sforzi della «gente» per la lotta al cancro.

Lo ripeto, scrivo con il massimo rispetto verso tutti coloro che cercano di alleviare la sofferenza in questa nostra vita terrena, ma è difficile sottrarsi all´impressione che il criterio decisivo per orientare l´opinione pubblica nel suo insieme a favore di Di Bella sia stato di tipo letterario piuttosto che scientifico. Avevamo Davide contro Golia, o anche l´eroe solitario contro tutti. Come sarebbe stato possibile esitare? Una volta che il giudizio si fosse posto in tale modo la risposta era obbligata.

Ma perché la questione si è discussa questa volta, e a differenza di tutte le altre, proprio su questo piano?

Evidentemente c´è qualcosa che non va dalla parte dei medici. Perché essi, e con loro la stessa autorità statale, sono stati oggi così pesantemente delegittimati? Si possono avanzare diverse ipotesi.

Innanzitutto vi è evidentemente una crisi della professione medica, forse percepita come burocratizzata e spersonalizzata; potere piuttosto che servizio, divaricata fra la figura del grande e costosissimo barone e l´immagine della moltitudine dei precari o magari di visite «al medico di famiglia» ridotte a routine di esami e prescrizioni già decise dallo specialista.

So benissimo quanti medici facciano con grande impegno il loro lavoro, ma credo che un malessere sia percepibile dentro la categoria stessa, magari anche nel sogno della pratica ospedaliera, dove davvero si farebbe il medico.

Ma al di là di questo vi è evidentemente una sfiducia nella verità scientifica che non appare più, per così dire, al di sopra di ogni sospetto e fa dubitare invece di scarso interesse per la vita delle persone o di giochi di potere sulla pelle della gente.

E che è anche sfiducia nella capacità del medico di essere portatore di verità e di autorità.

Quel che si sperimenta insomma nel caso Di Bella è la mancanza, generalizzata bisogna dire, di una autorità autorevole.

E mancando di autorevolezza questa autorità viene considerata arrogante e infine rifiutata. Al di là di come la vicenda si potrà concludere, il caso Di Bella è impressionante per averci mostrato che il re è nudo, o almeno così possa apparire malgrado indossi il camice o si rivesta della potenza dello Stato.

È una lezione da meditare, perché non ci si può illudere che costituisca una eccezione. Sarà un caso che il «telegiornale satirico» Striscia la notizia sia costantemente fra le trasmissioni più seguite e che ad esso ci si rivolga seriamente come raddrizzatorti o smascheratore delle verità ufficiali dei telegiornali «seri»?

O rinasce una autorevolezza, che andrà conquistata sul campo da parte di tutti coloro che hanno o vogliono avere autorità, o la società sarà sempre meno governabile e, occorre dirlo, sempre più incerta e disperata.


20/03/1998