Università Cattolica del Sacro Cuore

Quando la politica ragiona dal punto di vista del Principe

Già in occasione della passata tornata amministrativa su questo giornale si era segnalato il fenomeno della crisi di partecipazione dei cittadini alle elezioni come sintomo delle profonde difficoltà della politica. Non si doveva essere perciò dei profeti particolarmente ispirati per immaginare che questa volta le cose sarebbero andate allo stesso modo. E però i commentatori sono sembrati sorpresi dal fenomeno. Il fatto è che fino a domenica scorsa una buona parte degli osservatori si era cullata nel pigro pregiudizio che l´astensionismo fosse una faccenda che riguardava il centrodestra, per definizione incapace di mobilitazione politica, qualunquista e così via, e che tutto sommato una buona dose di astensionismo non avrebbe fatto altro che facilitare l´azione dei cittadini davvero consapevoli e maturi, ovviamente tutti o quasi iscritti al centrosinistra, e dei loro candidati politicamente corretti.

Dietro a questo schema interpretativo che nessuno confesserà mai pubblicamente - ma del quale è prova l´indifferenza stessa al crollo di partecipazione della volta scorsa quando era stato appunto il centrodestra ad essere più penalizzato - sta l´irriducibile giacobinismo di tanta parte della cultura italiana, la presunzione antica di essere «noi, il mondo dei savi» come dichiaravano all´origine dello Stato unitario i suoi padri fondatori della Destra storica, e che toccasse a quei pochi indirizzare i più, e preoccuparsi del governo e della cosa pubblica secondo le proprie più illuminate e progressive viste. Non è certo un caso che la scuola cosiddetta elitista, quella che con Gaetano Mosca distingueva fra governanti e governati, e indicava la insuperabile naturalità dell´esistenza di una élite dominante in ogni sistema politico, quella scuola da cui fra l´altro sarebbe stata influenzata profondamente la stessa riflessione gramsciana, sia nata e si sia sviluppata in Italia.

Ma, segnalato il fatto, non si tratta ora di buttar la croce addosso a quei lontani progenitori, quanto di sottolineare come ancora oggi si sia prigionieri di quello schema interpretativo, e si tenda a pensare quasi automaticamente in termini di sfiducia nei confronti dei cittadini comuni. A ragionare dal punto di vista del Principe e non del popolo. Immagino la virtuosa indignazione di tanti a fronte di simili affermazioni. Ma qual è stata la prima idea che è venuta in mente per rimediare all´astensionismo? Quella di accorpare le competizioni elettorali in una sola giornata. Sottinteso: la gente non va a votare perché è pigra, disturbiamola perciò il meno possibile, ma trasciniamola a votare per tutto approfittando di quella particolare elezione cui più tiene, e il gioco è fatto. Come al supermercato, paghi uno prendi tre. Certo, nel passato le cose andavano diversamente ma, si affrettano i commentatori, l´astensionismo di oggi alla fin fine è una prova di normalità, stiamo diventando europei anche in questo, la politica interessa meno e appare più difficile da comprendere venute meno le grandi contrapposizioni ideologiche. Sottinteso ancora una volta: la politica è faccenda per intelletti fini, soprattutto adesso, e non si può pretendere che i più ne capiscano.

E se invece fosse tutto il contrario? Se fossero i pochi e presuntuosi savi a non capire? A non capire che la loro politica poiché pensata (a destra come a sinistra, sia chiaro) dall´alto verso il basso intercetta sempre meno le richieste di senso e di definizione del vivere associato dei cittadini? Perché, come è stato detto, è il Potere - questa fascinazione della modernità - ad esistere sempre meno, a potere sempre meno. Lo dicono proveniendo da due esperienze diversissime fra di loro un altissimo funzionario dello Stato francese come Guehenno (nel suo «La fine della democrazia» edito in Italia nel ´94) e un poeta esule a suo tempo dal mondo del socialismo realizzato come il poeta premio Nobel Brodskij, il quale in «Fuga da Bisanzio» (un libro splendido da regalare per le prossime feste) scrive che «Lenin era in tutto e per tutto un prodotto del suo tempo: un miope rivoluzionario assillato da una brama monomaniacale e tipicamente borghese, la brama del potere. Il quale potere è a sua volta un concetto estremamente borghese». E cui cardine è l´idea della manipolazione della volontà, del controllo sui cervelli. «La società - egli aggiunge - essendo un´identità organica, genera le forme della propria organizzazione al modo in cui gli alberi generano la distanza che li separa l´uno dall´altro, e il passante dice che quella è una "foresta". Il concetto di potere, alias controllo dello Stato sul tessuto sociale, è una contraddizione in termini, e rivela un´anima da tagliaboschi».

La politica nel tempo della postmodernità troverà il suo spazio solo se riconoscerà la propria parzialità, cioè se rifiuterà di proporsi come onnipotente, se riconoscerà francamente la propria impotenza a prescrivere la verità - e dunque a fare tutto, o di tutto - e rispetterà l´autonomia dei singoli, la libertà della società, se dialogherà con le forme di autoorganizzazione della società stessa in spirito di responsabilità assunta e richiesta contemporaneamente, se accetterà il rischio della libertà e la tensione fra questa e i limiti che richiede un bene comune definito attraverso la crescita di consapevolezza che nessun uomo è un´isola, che si ha tutti bisogno degli altri, che rispetto e generosità non sono degli optionals.

E che di fatto in questo modo quotidianamente si vive, anche non volendolo, piuttosto che in quello - presupposto della politica moderna - dell´individualismo assoluto e della lotta di tutti contro tutti (che lo Stato per l´appunto deve regolare con il suo Potere). Accettare tutto questo non è facile, né semplice: significa ripensare le forme della democrazia (quale futuro hanno oggi i referendum?) così come il senso della partecipazione politica (la questione dei cattolici in politica, ad esempio, come si pone se l´equazione politica, Stato, potere non regge più?) ma invece di cercare di mettere delle pezze al vecchio sistema è di tutto questo che oggi si deve discutere. Lo impongono i cittadini stessi che con il loro non voto dimostrano di non interessarsi più a chi abbia il Potere.


17/12/1998