- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 1998
- Quando Leopardi entra alla Camera è un buon segno
Quando Leopardi entra alla Camera è un buon segno
Durerà, non durerà, sarà buono o cattivo il Governo D´Alema. Non so. So però che il discorso di presentazione del programma da parte del nuovo presidente del Consiglio, alla Camera il 22 ottobre, alla storia ci passerà di sicuro. Per il modo con il quale si è chiuso. D´Alema ha citato infatti un passo di Leopardi ironico «di questo furore di calcoli e arzigogoli politici e legislativi», il quale si chiedeva «se la felicità dei popoli si può dare senza la felicità degli individui». Nessuna possibilità di promesse di pubblica felicità perciò, anche perché - ha chiosato D´Alema - «la felicità degli individui non potrà mai entrare in un programma di Governo».
Un modo elegante per concludere, si è detto, con una citazione raffinata e un atto di ostentata modestia. E se qualcuno, come Il Giornale, ci ha fatto sopra a sua volta della facile ironia, per i più, giornali cattolici compresi, tutto questo è scivolato fra le curiosità. Non per L´Unità però, la quale sembra aver colto fino in fondo il veleno dell´argomento, tanto è vero che, citata la frase di Leopardi, tace del commento di D´Alema. E senza il commento la frase potrebbe essere intesa in un senso opposto a quello proposto oggi dal presidente del Consiglio e allora dal poeta, il quale anche altrove se la prendeva con l´ipotesi che la felicità potesse essere riposta «nelle chimeriche e assolute idee, di ordine e perfezione matematica» proprie della tradizione illuminista. E qui sta il punto. D´Alema attraverso Leopardi - un autore molto amato anche a sinistra nella vecchia e improbabile versione di intellettuale progressista - dichiara apertamente che la politica non può avere nemmeno come orizzonte teorico la felicità. Ma la promessa della politica moderna si condensava proprio nella formula della più grande felicità per il maggior numero, e la Costituzione americana del 1776 proclamava già di voler garantire il «diritto alla felicità» di ciascuno. D´Alema certo non ha negato che l´individuo possa porsi come personale obiettivo la propria individuale felicità, ma ha escluso che sia l´azione politica a potersi porre al servizio di un simile obiettivo, finale ed assoluto. Che possa, in altre parole, l´esercizio dell´autorità e l´uso delle risorse collettive avere un simile orizzonte.
Non c´è il paradiso in terra alla fine della storia. Ma non c´è in verità nemmeno più una ipotetica fine e realizzazione della storia nella storia stessa, come avevano invece garantito le ideologie di ogni segno e colore, né ci può essere la finalizzazione a ciò della politica. D´Alema dichiara da uomo politico e dall´alto del suo seggio quello che finora solo gli studiosi avevano osato mormorare. Che è finito il tempo delle utopie le quali tutte miravano, in un modo o nell´altro, alla pubblica felicità. Ma negare la pubblica felicità come scopo della politica significa relativizzare e ridurre enormemente i compiti della politica stessa, la quale non può più avere la pretesa di porsi come sapere superiore nell´ordine dei fini a qualunque altro sapere, e con proprie regole non discutibili dall´esterno.
Cade così la radice teorica della pretesa distinzione fra etica e politica, cade la vanitosa pretesa della scienza della politica di descrivere e determinare «scientificamente» i comportamenti umani, cade il mito prometeico della modernità, cade in definitiva l´impalcatura stessa del rapporto fra individuo e società come è stato concepito nel tempo della modernità. L´individuo, dice D´Alema, non può più pretendere che l´ordine collettivo sia pensato su sua misura, del suo ormai revocato diritto alla felicità. Egli avrà ancora, come sopra si diceva, il diritto di porsi alla ricerca della felicità, ma - lo potrebbe ammonire D´Alema con un´altra citazione di Leopardi - se la natura ci ha posto nel bisogno della felicità «questo bisogno ella ci ha dato senza la possibilità di soddisfarlo, senza nemmeno aver posto la felicità nel mondo».
Ma D´Alema non intendeva certo far lezione di filosofia quel giorno alla Camera. Egli con grande intelligenza politica sapeva ciò che altri pure sanno ma non hanno il coraggio e il realismo per dire. Ovvero che solo partendo da queste premesse - le quali certo non stupiscono un cristiano il quale da sempre sa che il fine dell´uomo non sta su questa terra né affida la propria speranza a qualche utopia o alla mera realizzazione del «progresso» - sarà possibile affrontare davvero i problemi drammatici che attendono le nostre società nel futuro. Da quelli del Welfar State da ridefinire a quelli della bioetica da regolare, fino a quello stesso della democrazia e della politica. Il 22 ottobre 1998 D´Alema ha dichiarato ufficialmente la fine della modernità e si è bruciato alle spalle i vascelli. Malgrado i 56 sottosegretari e tutte le ambiguità che hanno accompagnato la nascita del suo Governo, non possiamo per questo non fargli i migliori auguri.
25/10/1998