Università Cattolica del Sacro Cuore

Università, un contratto per studenti ricchi

Sull´Avvenire di sabato scorso è comparso un preoccupato articolo di Luigi Alici sul tema della riforma universitaria che il ministro Berlinguer sta preparando per decreto. Notava Alici come giusti fossero taluni obiettivi di fondo che la commissione si era proposta in tema di migliore orientamento agli studi, maggiore flessibilità dei corsi, formazione continua, scelta individuale dei tempi del proprio curriculum, infine riduzione della mortalità universitaria, ovvero del fenomeno per il quale solo un terzo circa degli iscritti al primo anno giunge alla laurea.

Avanzava invece numerose riserve sul metodo previsto per arrivare a tali risultati, e in definitiva sull´ispirazione complessiva della progettata riforma. Soprattutto, Alici sottolineava i rischi d´una logica di quantificazione mercantile, cui le università stesse per sopravvivere dovrebbero piegarsi per seguire gli orientamenti del mercato, cioè degli studenti consumatori, a scapito dell´autonomia della ricerca la quale non in ogni campo e non necessariamente dà frutti immediatamente apprezzabili.

In effetti cardine del nuovo sistema dovrebbe essere un «contratto» fra lo studente e l´università in base al quale il primo definisce il proprio impegno (a tempo pieno o parziale) e il proprio percorso, anche trasversale rispetto al classico ordinamento per facoltà e misurato su una somma di «crediti» che la frequenza a ciascun «modulo», anch´esso di varia durata, gli vale. Si suggerisce insomma la possibilità di ridisegnare individualmente e al variare delle circostanze il proprio percorso di formazione. I rischi di una cultura «fai da te» sono evidenti ma non sono quelli su cui vorrei soprattutto soffermarmi.

Sono certo infatti che un po´ per buon senso, un po´ per italica astuzia da ambo le parti, alla fine gli studenti sceglieranno nella stragrande maggioranza i progetti che le università stesse offriranno loro. Già oggi la possibilità limitata ma reale di modificare il piano di studi standard viene raramente colta (e accolta). Né mi preoccupa troppo la questione della ricerca: sono reali i pericoli prospettati da Alici, ma chiunque viva nell´università sa come un poco più di mercato e di concorrenza non possa che far bene all´università stessa. Due altri sono i punti a mio avviso più gravi e preoccupanti. Il primo riguarda l´ispirazione del progetto, il secondo le sue conseguenze paradossali e devastanti.

Fingendo che sia così, si mettono sullo stesso piano lo studente diciottenne e l´università: essi infatti stipulano liberamente un contratto, da consumatore a produttore, da compratore a venditore, fissano le regole del loro rapporto, e i benefici reciproci che se ne attendono. Tutto limpido e scritto nero su bianco. Niente trucchi, niente inganni. O che bella parità, o che bella democrazia del mercato e il mercato come democrazia! Già, ma il trucco e l´inganno ci sono, eccome se ci sono. Abbiamo detto sopra che l´università nei fatti è un contraente molto più forte dello studente, ma non solo: sono molto diversi gli studenti fra loro e molto diversa è la loro probabilità di onorare i propri obblighi, e in definitiva dunque la possibilità di raggiungere davvero la laurea. Chi ha una famiglia in grado di dargli sostegno culturale ed economico è evidentemente favorito rispetto a chi si trova in stato di povertà o disagio. Certo, quest´ultimo può scegliere, per contratto, di fare lo studente a tempo parziale e di allungare i tempi del proprio curriculum, o magari di scivolare dal rango di studente a tempo pieno a quello di studente a tempo parziale, rango evidentemente già di per sé svantaggioso rispetto al mercato del lavoro. Quando infine non potesse onorare nemmeno il patto di quest´ultimo contratto, ebbene allora sarebbe fuori. Ma come in ogni contratto che si rispetti se son chiare le condizioni non c´è contestazione, e la colpa dell´inadempienza sarebbe solo sua.

Ecco dove sta il trucco. Promosso lo studente al rango di compratore egli non può più lamentarsi, né ha più nulla da chiedere: la responsabilità dell´insuccesso è solo sua e l´istituzione è assolta anche da ogni eventuale mortalità, la quale non scompare, ma cambia nome: inadempienza contrattuale. O meglio, è assolta la società, liberata da ogni responsabilità verso i più deboli. All´articolo 34 della Costituzione sta scritto che «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» e che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso». Questa era la logica di una società che si concepiva come un insieme, e si preoccupava delle diseguaglianze, anche materiali. E che aveva rispetto di sé e coscienza del proprio diritto-dovere di stabilire dei criteri e modi (per concorso!) per aiutare quelli che riteneva di poter riconoscere come «capaci e meritevoli».

Oggi chi governa nemmeno ci prova a stabilire dei criteri, cioè dei valori; né vuole essere accusato di selezionare, cioè di esercitare una responsabilità, e ipocritamente lascia tutto al mitico mercato e a un individualismo penosamente esaltato nella figura del contratto, la selezione: che ci sarà, e spietata, e non dei capaci e meritevoli ma dei forti rispetto ai deboli. Non si può fare la riforma dell´università senza avere un´idea di società, e se questa è quella del liberismo sfrenato, se questo è il mito americano dei Veltroni e Berlinguer, ebbene si abbia il coraggio di dirlo. E di questo si discuta.


04/02/1998