Università Cattolica del Sacro Cuore

Enel, fu davvero «monopolio»?

In questi giorni per effetto di una direttiva europea finisce la privativa dell´Enel sulla produzione e commercializzazione dell´energia elettrica. D´Alema parla di «prima grande rottura del monopolio elettrico» e di addio al monopolio parlano un po´ tutti con grande soddisfazione. In realtà la faccenda è più complessa perché all´Enel rimane la proprietà della rete e, in sostanza, il controllo della trasmissione dell´energia con i lucrosi appalti e condizionamenti che ne derivano.

Quel che stupisce però, ancora una volta, è la potenza dilagante di quella che Orwell in 1984 aveva battezzato come la neolingua, che ormai tutti disinvoltamente adottano. La neolingua, di cui il politicamente corretto è un´espressione, non serve a dichiarare ma a nascondere gli oggetti di cui si parla.

Neolingua è per l´appunto designare quello dell´Enel come monopolio. Monopolio suona male, allude a un potere cattivo e antidemocratico. Rompere il monopolio conseguentemente è qualcosa di buono, per cui si può esprimere soddisfazione, è la prova che si è sulla strada giusta, si progredisce. Come un governo di centrosinistra ha inscritto nel suo Dna.

Ma la sigla dell´Enel rinvia a un diverso concetto, quello di ente nazionale. Quando nasce l´Enel il primo gennaio 1963 è buona perché è nazionale, e nessuno si permette di dire che si è costituito un monopolio.

Nazionalizzare l´energia come richiedeva Riccardo Lombardi capofila della sinistra del Psi e abbattere le barriere elettriche, come suonava il titolo di un convegno de Gli amici del mondo organizzato nel 1960 da Ernesto Rossi e Eugenio Scalfari (e pubblicato da Laterza) fu un impegno del primo centrosinistra. Così come la realizzazione di più incisive misure di Stato sociale (su casa e sanità) e per la crescita individuale, la nuova scuola media unica. Sono queste le misure che dimostrano fra ´62 e ´64 che l´Italia sta cambiando, i fiori all´occhiello del centrosinistra riformista. Furono anche oggetto di battaglie furiose.

Durante la rivoluzione russa si era detto che il comunismo era l´elettrificazione più i Soviet. In quell´Italia dei primi anni Sessanta appena uscita dalla povertà, la difesa di Edison, Sade, e tutte le altre società produttrici di energia elettrica, faceva balenare dietro la nazionalizzazione dell´elettricità per l´appunto i Soviet, nella programmazione economica lo spettro del Gosplan, l´ente sovietico di pianificazione integrale dell´economia.

Molti anni dopo citandolo in un´intervista a Il Manifesto,  Bassetti, il giornalista del quotidiano comunista l´avrebbe scritto Ghostplan, ironia dell´ignoranza e fine di una cultura.

Ma allora tutti sapevano cos´era. E a sinistra anche chi non vagheggiava il comunismo sovietico (parrà incredibile ma allora c´erano i comunisti in Italia), riteneva tuttavia che compito dello Stato fosse di regolare il mercato, e anche la Mater et magistra di Giovanni XXIII aveva già indicato allo Stato come compito quello di intervenire sugli squilibri prodotti dallo sviluppo economico.

Tutto sbagliato? Ma no certo, mi si risponderebbe subito: altri erano i problemi a quel tempo, altri sono adesso; e diverse dunque le soluzioni.

Già, ma allora perché ricorrere alla neolingua? Perché l´Enel è uno strano «monopolio» da cui liberarsi e non il frutto di una consapevole e rivendicata scelta storica progressista e nazionalizzatrice eventualmente da superare? E spiegando perché? E come mai Il Mondo di Pannunzio continua a essere circonfuso della luce del mito allora come oggi se le scelte dei suoi amici di quel tempo appaiono agli eredi e sopravvissuti del presente così lontane e imbarazzanti?

Lo dico perché non ho visto sui giornali, nemmeno su quello fondato da Eugenio Scalfari, alcuna analisi storica, alcun fare i conti con il proprio passato in un´occasione tanto carica di significato simbolico.

La neolingua permette di parlare senza dire, permette di falsificare il passato ma al costo di cancellare l´identità di chi la parla e dunque di impedire la costruzione del futuro, vuoi attraverso un´esplicita riconferma delle ragioni antiche, vuoi attraverso una reale e lealmente argomentata discontinuità con il passato.

E viene il dubbio che proprio questo sia il problema, che le classi dirigenti italiane sappiano dire solo mezze verità e fare mezze innovazioni.

Pare che Mussolini una volta abbia detto che governare gli italiani non è difficile, è inutile. S´era preso il potere senza il consenso, che cosa poteva aspettarsi? E però come credono i politici di oggi di convincere gli italiani se non hanno nemmeno il coraggio della propria storia e delle proprie idee?

La nazionalizzazione dell´energia elettrica non è in effetti solo un elemento della storia del riformismo italiano. È anche l´esempio di come tutto possa cambiare perché tutto rimanga uguale.

C´era un problema allora: una volta decisa la nazionalizzazione, a chi sarebbero andati i soldi che lo Stato avrebbe pagato per le società elettriche?

Si potevano trasformare le loro azioni in obbligazioni Enel garantite dallo Stato tutelando i piccoli azionisti. Si preferì pagare la cifra d´acquisto alle stesse società creando dei colossi finanziari privati e incontrollabili. Con conseguenze che alla lunga arrivano fino a oggi.

La scelta delle società ex elettriche fu sostanzialmente di investire nella chimica costituendo una lobby potentissima la quale attraverso le vicende della fusione Edison Montecatini e quelle successive della Montedison arrivano fino alla megatangente - la cosiddetta madre di tutte le tangenti - che stava sotto il bubbone esploso con Mani pulite, il suicidio di Gardini, la crisi della prima Repubblica, ecc.

Il fatto fu allora che dietro la nazionalizzazione si strinse un accordo neocorporativo fra i diversi spezzoni della società italiana a vantaggio di una sostanziale ricomposizione degli equilibri apparentemente turbati.

Non sarà che oggi limitandosi a tripudiare per la fine del monopolio senza discutere in alcun modo del passato non si stia stringendo un qualche patto simile e come allora dietro la parola d´ordine della nazionalizzazione così oggi dietro quella del mercato si occultino le questioni importanti degli interessi - legittimi senza dubbio - in gioco, le alleanze interne e quelle europee?

Da un governo di centrosinistra vorremmo allora qualche cosa di più di una celebrazione neolinguistica del nuovo che avanza.


21/02/1999