Università Cattolica del Sacro Cuore

Fecondazione, finti liberali e lezioni di etica

Il voto parlamentare contro la fecondazione eterologa ha provocato un gran dibattito, una discreta confusione e suscitato reazioni a caldo che non so francamente se verrebbero ripetute a mente fredda. Vale però la pena di discuterne, perché in modo estremo tali reazioni e confusioni mettono allo scoperto i limiti della cultura politica italiana, pronta a proclamarsi liberale - o liberal come fa Veltroni - ma incapace di accettare che la libertà abbia percorsi diversi da quelli che gli autoproclamatisi depositari della vera ragione, e del suo percorso verso le magnifiche sorti e progressive, avevano stabilito. Ecco allora che la riflessione in coscienza dei parlamentari diventa lo scontro fra un´Italia «arcaica» e una moderna, fra, cito ancora Veltroni da La Repubblica di sabato, «chi difende il diritto e chi lo vuole calpestare».

Le ragioni altrui non sono discusse, ma squalificate in base a un criterio storicistico, basato sull´immaginata superiore consapevolezza dei «laici» di dove va il senso della storia. Non a caso si parla di vecchio contro nuovo, di giusto contro ingiusto. In altre parole grattando il liberal sembra riemergere l´ideologo e con lui le ideologie della modernità, siano quelle comuniste o quelle laiciste, accomunate ormai nell´unico discorso che sembra retoricamente tenere, quello dei diritti individuali. Con conseguenze paradossali e, come dicevo, di confusione preoccupante. Ne è un buon esempio l´articolo di Piero Ostellino sul Corriere della Sera di sabato. Mentre il suo direttore intervistato lo stesso giorno da Avvenire insiste a spiegare che il giornale ha tenuto una posizione equilibrata e informativa, e dichiara d´essere personalmente lieto perché «tutto considerato il dibattito e il voto si sono conclusi con una vittoria della famiglia», contemporaneamente l´opinionista, usando la clava, accusa i cattolici, parole sue, di violare il principio etico e filosofico del libero arbitrio e l´idea etico-politica di libertà kantiana. Ovvero, come spiega «il diritto di ogni uomo di perseguire il proprio ideale di felicità a condizione di non impedire al suo prossimo di fare altrettanto». Lamenta di vivere invece in un Paese «in cui alcuni uomini, di tanto in tanto, tendono a “farsi dei”, a sostituire al mio libero arbitrio l´imperio, per legge, della loro moralità e della loro volontà filosofico-religiosa».

Dubito che Ostellino pensi davvero e soltanto in questi termini, perché in realtà in nessun sistema politico tutto si risolve in tali termini, che sono etici e non giuridici. Un conto è il rispetto della coscienza individuale e dei comportamenti, che si possono non condividere ma comunque rispettare, meramente privati; un conto è il compito che la comunità politica ha di stabilire delle regole che legittimino o meno determinati comportamenti nei confronti della comunità tutta intera. Prendiamo il caso dell´incesto.

A stare a Ostellino perché un fratello e una sorella che lo pratichino, adulti e consenzienti, non dovrebbero poter vedere riconosciuto come diritto quello di formare una famiglia in faccia allo Stato e tutelata dalle leggi alla pari di qualunque altra? Forse che il loro comportarsi in modo tanto terribile per la coscienza comune obbliga altri a comportarsi come loro? Dobbiamo allora dire che vietando l´incesto (o meglio non riconoscendolo come comportamento pubblico giuridicamente accettabile) lo Stato lede la libertà di chi lo pratichi, che il legislatore si è voluto «fare Dio?» Non credo, visto che Ostellino stesso parla del «pericolo dell´incesto» considerandolo dunque negativo. E che dire d´altro canto per fare qualche altro esempio, della poligamia? E perché non riconoscere la poliandria? Alla fin fine non è nei suoi effetti tanto diversa da una fecondazione eterologa da donatore anonimo ripetuta più volte. Non vorrei dare lezioni di liberalismo a un «inveterato liberale» come Ostellino si definisce, ma un punto fondamentale dello stato laico è proprio la distinzione fra compiti del diritto e compiti dell´etica. Non tutto ciò che è eticamente riprovevole lo è anche giuridicamente, e ciò perché dal punto di vista del buon ordine collettivo appare più pericoloso entrare in taluni ambiti che starne fuori con la legge (si pensi per l´appunto ai comportamenti sessuali fra due adulti consenzienti, che in taluni Stati della grande democrazia americana vengono invece disciplinati e regolati strettamente: che tristezza tanto arcaismo e sessuofobia per il liberal-kennediano Veltroni!). Al tempo stesso, proprio ai fini di stabilire una convivenza ordinata, il diritto non può mancare di intervenire a disciplinare anche comportamenti privatissimi, come appunto quelli relativi alle tecniche della procreazione assistita; non può lasciarli al mero diritto individuale alla felicità.

Tutti, d´altro canto, sono d´accordo che di fronte all´anarchia attuale una legge ci vuole. Ci vuole cioè una scelta fra diverse possibilità, in relazione alla definizione di un equilibrio fra attese individuali ed esigenze della collettività. Qui entrano in gioco i valori e i princìpi etici che informano le scelte di ciascuno nel definire per legge l´equilibrio migliore. Nel caso della procreazione assistita evidentemente la maggioranza dei parlamentari (e personalmente credo del Paese) ha preferito un criterio più restrittivo di quello sostenuto dai campioni della fecondazione eterologa; ha ritenuto più prudente per il futuro collettivo limitare fortemente il riconoscimento giuridico delle possibilità offerte dalla tecnica. Nessuno si è «fatto Dio» dunque, o a prevaricato il suo compito di legislatore. Aggiungiamo che il fronte del no alla fecondazione eterologa non era quello dei cattolici contro i laici. D´Alema, riportano i giornali, era personalmente contrario alla fecondazione eterologa perché squilibrava il rapporto di responsabilità fra padre e madre. L´antropologa Ida Magli, ascoltata giovedì mattina su Radiotre, non era meno recisa nel suo no, motivato dal rischio addirittura di estinzione della specie (il discorso ovviamente era più complesso) e dalla amara constatazione di una preoccupante crisi dell´identità femminile. Anche loro «vecchi» e «antigiuridici»? Anche loro aspiranti dei? Un poco di tolleranza per chi la pensa diversamente insomma non sarebbe male ed eviterebbe di reintrodurre surrettiziamente e paradossalmente, per difendere i princìpi liberali, quelli dello Stato etico.

Un rischio, sia chiaro, che correrebbero anche quei cattolici che, dalle scelte ultime sulla vita e la morte di cui questa legge sta discutendo, volessero trarre conseguenze di maggioranze e minoranze su questioni pure importanti, come quella della scuola non statale, ma di ben diverso peso e ultimatività. I pasticci dei cosiddetti liberali non devono servire di alibi per quelli altrui.


07/02/1999