Università Cattolica del Sacro Cuore

Federalismo, ritorno a Nordest

Anche la Chiesa, come la società in cui vive, è plurale. Ci sono sensibilità diverse nel corpo ecclesiale e nella stessa gerarchia. Fa tanto più impressione perciò la compattezza con la quale i vescovi del Nordest hanno deciso di sollevare tutti assieme il problema del federalismo sui bollettini diocesani. Va segnalato in primo luogo che tale compattezza è la prova che il loro non è un intervento politico, nel senso di inframettersi nel gioco dei partiti; che si tratta di una preoccupazione generale e profonda, un autentico grido di allarme motivato evidentemente dalla situazione che colgono ogni giorno. E che ha raggiunto il livello di guardia, per imporre una uscita pubblica tanto clamorosa. Al tempo stesso la Chiesa scopre, così facendo, la debolezza di una politica, e di un ceto politico, che non sanno mantenere viva l´attenzione sui problemi, che sono continuamente distratti dal miserabile gioco delle ambizioni personali le quali fanno a pezzi qualunque progetto politico: come le convulsioni nella maggioranza registrano con evidenza in questi giorni. Aggiungiamo pure a tutto ciò sulla classe politica l´effetto anestetizzante dell´aria di Roma, l´impressione conseguente che solo ciò che accade là sia davvero reale e importante.

Nel momento in cui la Lega, per difficoltà interne e propri passati errori (come la scommessa sulla parola d´ordine della secessione persa di fronte all´ingresso dell´Italia nell´euro), sembra allentare la presa sul Nordest e su quei voti, il federalismo da emergenza pratica ritorna per i politici parola buona per dibattiti accademici. Come se la perdita di visibilità di un problema a cui tutti si erano detti disposti a intervenire significhi il suo automatico essersi risolto e non l´approfondirsi e incancrenirsi della crisi. Benissimo ha fatto perciò la Chiesa a rimettere il tema all´ordine del giorno, anche per evitare guai peggiori.

Il fatto però è che il silenzio della politica in questo caso ha al fondo anche un´altra tragica realtà, ovvero l´incapacità di trattare realmente il problema del federalismo. È evidente che un vero federalismo per funzionare ha bisogno di una struttura di raccordo e coordinamento nazionale forte e efficiente, di una burocrazia «centrale» agile ma preparata, capace di interagire con le sollecitazioni che vengono dalle periferie, o se vogliamo da una molteplicità di centri locali e sovranazionali, e capace di lavorare in termini non solo di controllo formale o di legittimità giuridica, ma di sostanza, e soprattutto di effettiva assunzione di responsabilità per le proprie scelte.

Ma può un ceto politico bloccato da questioni personali e da retropensieri ideologici e polverosi, o anche ammaliato dal gioco delle astuzie di breve periodo pensare a una simile riorganizzazione dello Stato? Può - diciamo la parola - dare l´esempio di coraggio intellettuale, di ampiezza di visione, di reale probità che tutto ciò richiede?

D´altro canto proprio perché questo tempo sembra quello più propizio ai furbissimi, agli spregiudicati, agli argomentatori cinici di tutto e del suo contrario, questo tempo è quello che ha più bisogno di altro. Al principio degli anni ´90 chi avrebbe detto che di lì a poco la Dc sarebbe crollata su se stessa? Nessun politico o politologo realista lo avrebbe pensato. Eppure è successo. Può succedere di nuovo al rinnovato sistema dei partiti se non imparerà la lezione, se non uscirà dall´impasse in cui si trova, e da cui ha saputo momentaneamente scuotersi solo di fronte al rischio suicida di esclusione dall´euro. I vescovi con angoscia segnalano tutto ciò, così come evidentemente la scarsa rappresentatività del locale ceto politico. Ma segnalano altresì, come sopra si accennava, che la situazione del cosiddetto Nordest è per tutto ciò allarmante.

La questione del federalismo non è solo affare di migliore organizzazione dei servizi pubblici, ma ha a che fare nel pensiero dei vescovi - io credo - con la possibilità di una nuova assunzione diretta di responsabilità dei cittadini, appare come il modo politicamente migliore per tentare di ricomporre una società che si è disgregata a mano a mano che la ricchezza vi cresceva, che venivano meno solidarietà civiche e consapevolezze culturali quali quelle assicurate, nel bene e nel male, dall´ordine della società contadina. I giornali diocesani coalizzandosi per un giorno e andando così al di là del loro specifico, dimostrano quanto sia sproporzionato ormai il rapporto fra necessità culturali e civiche generali e capacità, non solo del mondo politico, ma degli stessi media del territorio a farsi carico dei problemi di fondo di quella società: e anche questo è un dato drammatico su cui riflettere.

Quello dei vescovi è probabilmente l´ultimo allarme possibile. Non chiediamo loro più di quello che possono dare, una supplenza politica che loro non tocca. Però politici se ci siete, battete un colpo.


17/01/1999