- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 1999
- La supplenza delle toghe
La supplenza delle toghe
L´attentato a Togliatti e la vittoria di Bartali al Tour, l´assoluzione di Andreotti e quella della Ferrari. Chissà se nell´immaginario futuro come la prima, così anche la seconda coincidenza troverà un suo posto. Lo sport come risarcimento nei momenti drammatici della vita nazionale, l´intersecarsi dei piani e delle preoccupazioni - il politico e il frivolo - come via per sopportare un´angoscia troppo profonda. Chissà. Certo sulla conclusione assolutoria del processo ad Andreotti si possono compiere molte riflessioni ma credo nessuna davvero lieta o liberatoria. E non perché si possa criticare la sentenza in quanto tale. Pensiamo che i giudici abbiano fatto in coscienza il loro lavoro e che la loro decisione, quale che sarebbe potuta essere, andava comunque rispettata. E rispettata per quello che può dirci: una verità giudiziaria - provvisoria peraltro essendoci l´appello - e legata alle regole del processo e del codice penale. Niente di più, niente di meno. E l´affermazione più terribile sarebbe quella di chi dicesse che ora si è giudicato così in questo contesto, e che qualche anno fa in un contesto differente si sarebbe deciso diversamente.
Sostenendo ciò si riconoscerebbe infatti che il processo ad Andreotti è un processo politico, non giudiziario, che la magistratura fa politica e non giustizia, che le si chiede di dichiarare l´etica e non il diritto. Che i giudici siano uomini, e che i loro giudizi siano anche storicamente condizionati è ovvio, ma ridurli a semplice espressione di un sentire diffuso ora favorevole e qualche anno fa contrario ad Andreotti, ci toglierebbe qualunque certezza sulla possibilità di dichiarare una giustizia secondo le leggi, dunque sui fondamenti del nostro vivere associato. E qui si tocca il punto veramente drammatico della vicenda. Di fronte alle attese della sentenza dobbiamo constatare ancora una volta che alle debolezze della politica, alla incapacità della stessa di fare i conti con la storia, di assumersi le proprie responsabilità, si è sperata una soluzione surrogatoria. Si è caricato di valenze politiche ed etiche un procedimento che a queste attese comunque non poteva, e non doveva, rispondere.
Il rapporto tra mafia e politica non si chiarisce con un processo, così come non sarà dai documenti del dossier Mitrokhin che si determinerà la verità storica dei rapporti fra Pci e Urss. Ed è una vergogna per la politica che tocchi a un giudice cercare la verità su Ustica, o che solo dalla magistratura ci si aspetti luce su tanti altri misteri della vita nazionale. Così come correlativamente è un pericolo che ai giudici vengano affidate le speranze di rigenerazione sociale. Le quali, Tangentopoli insegna, finiscono alla lunga inevitabilmente deluse. Col risultato però che uno strumento delicato e fondamentale per la vita associata come la magistratura e il processo ne esce diminuito se non screditato. Voglio dire, la verità giudiziaria è una verità comunque parziale e limitata, che può arrivare fino a un certo punto e non oltre. Non lo dimentichi chi gioirà come chi si rammaricherà per questa sentenza. L´albero si giudica dai frutti. Il rapporto con la mafia non fa eccezione a questa regola, e Andreotti nemmeno. E bisogna avere consapevolezza che al mutare delle situazioni mutano ruolo e volontà dei protagonisti.
Nello Stato liberale la mafia cercava il rapporto con i capi del partito allora dominante e il liberale Vittorio Emanuele Orlando in un famoso discorso arrivò a sostenere che se mafia voleva dire avere un esagerato senso dell´onore, allora anch´egli era mafioso. Durante il fascismo l´opera tanto sbandierata di pulizia del prefetto Mori a un certo punto venne sostanzialmente bloccata perché toccava interessi troppo importanti. Gli americani si appoggiarono alle famiglie mafiose arrivando a Palermo in guerra. Sicuramente è stato soprattutto con i partiti di maggioranza che la mafia ha cercato un rapporto negli anni repubblicani, e così sempre sarà chiunque governi. E di questo bisogna essere consapevoli, e sul piano dei comportamenti politici andrà dato il giudizio, e fatte le scelte. Anche sapendo che lo stesso fenomeno mafia muta e muta conseguentemente la sensibilità per i pericoli e i rischi che fa correre alla vita civile. La straordinaria crescita di consapevolezza del problema mafia da parte della Chiesa siciliana negli ultimi vent´anni è la prova che le cose possono mutare, e che però dalle scelte di ciascuno, e non da eventuali giochi di sponda su sentenze a favore o contro, può venire una speranza di liberazione per tutti.
24/10/1999