Università Cattolica del Sacro Cuore

«Moda inglese» al tramonto, Londra guarda all´Italia

Sarà la guerra, sarà stata la corsa al Quirinale, sarà la depressione postreferendum, ma sono mancati sulla stampa commenti men che distratti alle elezioni scozzesi. Ci si è limitati a constatare che il partito indipendentista scozzese non aveva vinto (perché misconoscendo il carattere nazionale aveva promesso più tasse, si è detto) e che Blair l´aveva indovinata scommettendo sulla nascita di un parlamento locale, nel quale i laburisti avevano, sia pur non da soli, come a Londra la maggioranza; e dunque rinsaldavano la presa sulla società britannica. In realtà ci sarebbe stato molto più da dire. L´elezione del primo parlamento scozzese (e di una assemblea gallese) dopo l´atto di Unione del 1707 da cui nacque la Gran Bretagna come l´abbiamo conosciuta fino a ieri non ha infatti solo una rilevanza simbolica, né costituisce un atto isolato. Si inserisce infatti in una strategia di riforma costituzionale complessiva che ha sollevato nell´isola fra gli studiosi molti interrogativi ed anche timori. E ha stupito gli osservatori esterni. In un articolo di qualche tempo fa del New York Times si è addirittura detto che si tratta di mutamenti così radicali da apparire quasi inconcepibili, come se Clinton avesse proposto l´indipendenza per il Texas e la Florida, la fine del dollaro come moneta nazionale, l´adozione della rappresentanza proporzionale nell´elezione dei parlamentari, e così via. Non per niente l´articolo si intitolava La fine della Gran Bretagna. In effetti anche se immediatamente nulla è accaduto, si è aperta la possibilità teorica di una sostanziale indipendenza almeno della Scozia, si è introdotto un sistema elettorale parzialmente proporzionale là dove ne vigeva uno rigidamente maggioritario, si è accresciuto il ruolo fiscale e finanziario delle istituzioni locali. E tutto ciò, come ha detto Blair, nella prospettiva di trasformare la Gran Bretagna in «un moderno Stato europeo».

Viene in mente la vicenda di quegli italiani anglomani che andati finalmente a Londra e vestitisi elegantemente e come loro credono all´inglese, scoprono di esser i soli a portare abiti così fatti. Mentre noi ci affanniamo a esaltare il modello inglese, la superiore civiltà di quel popolo e di quel modo di far politica, perbacco, contemporaneamente gli inglesi si preoccupano di diventare più simili ai continentali. E a quali continentali poi? Non evidentemente ai francesi con il loro Stato accentrato e dirigista che inventa addirittura falsi attentati in Corsica per giustificare una stretta autoritaria nella regione disperato di non saper più, entro la sua cultura, che fare. Nemmeno immagino al Lussemburgo o ad altri piccoli Stati troppo diversi come dimensione e popolazione. Allora agli altri, agli spagnoli dalle larghissime autonomie regionali e con un sistema di voto proporzionale (e che sono pure una monarchia), o ai tedeschi, federali e pure loro proporzionalisti (e non per questo incapaci di far funzionare né lo Stato né l´economia), chissà magari persino agli italiani che agli inglesi contendono il quinto posto tra i Paesi più sviluppati. Forse è per questo che dopo tanta esaltazione di un mitico sistema inglese nessun opinionista liberal e alla moda invita a riflettere sulle trasformazioni che effettivamente vi si stanno realizzando. E che aggiungiamo, là i contrari lamentano non sembrare interessare più di tanto l´opinione pubblica, la quale evidentemente non si vede grossi pericoli. Ma prender sul serio nel dibattito italiano le riforme inglesi e la loro prospettiva, con quell´insieme crescente di autonomia e proporzionale, significherebbe uscir dal tenace provincialismo culturale e far i conti con la realtà e non con il mito. Non volerci vestire tutti quanti secondo una supposta moda inglese che essi stessi rifiutano, ma nel modo più conveniente alla stagione e ai problemi che in realtà dobbiamo affrontare. E la realtà è quella di cui Blair si rende conto: che per governare una realtà complessa si deve accettare la sfida della complessità, e riconoscerla e pensare soluzioni che ne tengano conto e anzi la facciano giocare in senso positivo. Che dunque non l´uniformità ma l´articolazione delle differenze rafforza l´insieme, che con la storia bisogna fare i conti comunque e che è meglio dar voce alla molteplicità che tentare di ridurla obbligatoriamente attraverso qualche marchingegno istituzionale.

E comunque se una opinione diversa si vuole sostenere la si argomenti senza ricorrere, come si diceva sopra, a un uso vagamente ricattatorio di una storia mitica, la si argomenti razionalmente e ragionevolmente a partire da una analisi della nostra storia e attuale identità e situazione. E magari anche spiegando perché Blair prende esempio dalle solide democrazie continentali per rinnovare la propria. Infine facendo i conti con il carattere degli italiani così com´è, senza complessi di superiorità, ma anche senza quelli di inferiorità. Possiamo essere civili anche senza travestirci. Oggi a tanto maggior ragione che a vestire alla moda costituzionale inglese non va più nemmeno là dove è nata.


15/05/1999