Università Cattolica del Sacro Cuore

No, la scuola non ha l´esclusiva

Mio nonno amava le massime. Lavoratore indefesso, fattosi da sé, con pochi studi e tanta fatica, due soprattutto ripeteva, trovate chissà dove. «Raccogli legna quando sei giovane, ti scalderai quando sarai vecchio», e «L´istruzione è la miglior valigia nel lungo cammino della vita». Gli piacevano tanto che le aveva scritte sui muri del suo magazzino a edificazione e insegnamento per tutti. Scuola e lavoro, risparmio non erano però in cima solo ai suoi valori.

Era un mondo intero che vi si ispirava. Addirittura la Terza Repubblica francese a cavallo tra Otto e Novecento era soprannominata «La Repubblica dei maestri» per la sua vena pedagogica e la sua preoccupazione costante per l´educazione delle masse. E anche nelle opere che più a lungo hanno inciso sul nostro immaginario collettivo nazionale, i libri «per bambini» per eccellenza fino a pochi anni fa, la scuola e l´istruzione sono state metafora di vita buona e di virtù civica. È a scuola che Franti si rivela quel cattivo soggetto che sappiamo ed Enrico ha modo di dimostrarsi bravo; ed è barattando i libri di scuola per il paese dei balocchi che Pinocchio si ritrova trasformato in somaro assieme a Lucignolo, piccolo Lucifero tentatore, vittima delle sue stesse tentazioni, e senza una fatina buona che lo possa mai più salvare.

In una età di rapida trasformazione, nella quale il sapere pratico e consuetudinario che poteva trasmettere la società contadina serviva sempre meno, l´istruzione scolastica, un curriculum formalizzato e uniforme, diventava strategico, per il Paese e per gli individui stessi. Non dimentichiamo che dopo l´Unità in molte parti d´Italia gli analfabeti erano oltre l´ottanta per cento della popolazione (e fra gli alfabetizzati si contavano anche quelli che sapevano solo leggere!) e che solo nel 1877 si stabilì l´obbligo scolastico fino al nono anno d´età (cioè per il primo ciclo delle scuole elementari), portato ai dodici nell´età giolittiana e a quattordici dalla riforma Gentile negli anni Venti. Ogni fase storica insomma ha fatto dell´innalzamento dell´obbligo un punto d´onore, e la prima Repubblica pure. Se non ha innalzato l´obbligo, l´ha infatti profondamente trasformato con la creazione della scuola media unica negli anni Sessanta.

La seconda non ha voluto essere da meno, ed ecco l´innalzamento recentissimo a quindici anni. Come al tempo di Gentile, quando l´obbligo venne spostato «per omogeneità formale con gli accordi internazionali di Washington» senza però prevedere «concretamente le istituzioni atte a realizzarlo», come è stato scritto, così ora per far bella figura e mettersi alla pari con gli altri Paesi si mette il carro avanti ai buoi e si innalza l´obbligo prima di aver chiarito a che debba servire e come si debba realizzare. Contemporaneamente si sta meditando di abbassare la laurea da quattro a tre anni perché, si dice, così i nostri studenti non arriveranno alla laurea più tardi dei loro coetanei europei.

Di nuovo il problema sembra essere quello delle statistiche e degli adempimenti formali piuttosto che l´altro vero di un ripensamento complessivo di che sia oggi istruzione, educazione, cultura. O comunque, se questo dibattito c´è, rimane riservato agli addetti ai lavori, ai savi ministeriali, e agli intellettuali giacobini consiglieri del moderno principe Berlinguer. Alla gente comune si propina invece la retorica della scuola. Quella che contiene tuttora i dati reali cui tanto rispetto portavano i nostri nonni, ma senza più l´evidente collegamento fra sviluppo individuale e contesto sociale di quei tempi. Nel 1877 venne abolito l´insegnamento del catechismo nelle scuole, e nacque al suo posto l´educazione civica, non senza grandi contrasti. Oggi di quella educazione del cittadino che doveva essere strumento di formazione d´una laica virtù che cosa è rimasto? Qual è il progetto educativo che attraverso l´istruzione la società propone alla scuola di realizzare?

Sembra talvolta che tutto si risolva e si plachi nell´introduzione del computer, nell´omaggio tributato all´ultimo idolo della modernità. Mentre quasi tutto è lasciato alla buona volontà e alla dedizione personale degli insegnanti, mai abbastanza ringraziati per ciò che riescono comunque a fare in situazioni spesso difficili. Ma al tempo stesso, proprio perché è rimasta in piedi la retorica della scuola, nel senso detto, alla scuola si affidano sempre maggiori compiti, scaricandole addosso (non tocca a lei la formazione?) un disagio sociale che direi molecolare, e cioè magari poco apparente ma non per questo meno drammatico. Quello delle famiglie in crisi, o di genitori troppo presi da altro per occuparsi almeno un poco dei proprio figli. Quello dell´inserimento di bambini e ragazzi provenienti da culture diverse e per i quali va trovato una difficile combinazione fra rispetto d´una storia propria ed esigenze d´integrazione. E mentre il progetto civico della modernità si svuota, alla scuola non solo si addossa ma quasi si rivendica un´esclusività come «agenzia» di formazione, antagonista alla famiglia (qualcuno, Gloria Buffo dei Ds se non ricordo male, l´ha rivendicato esplicitamente nel dibattito sulla scuola privata) come ad ogni altro luogo e strumento di maturazione e crescita della personalità, che finisce per aggravare da un lato la fatica della scuola e dall´altro quella stessa crisi della società cui si propone di far fronte.

Come ha implicitamente osservato Goffredo Fofi, nella retorica di una scuola cui si chiede ciò che non può dare, si mette in gioco l´idea stessa di che cosa possa essere la democrazia in una società postmoderna. Si tratta allora - egli ha recentemente scritto citando la vecchia tesi di Ivan Illich - di descolarizzare la società sia nel senso di liberare la società dalla scuola superflua (limitandone e chiarendone compiti e funzioni), sia nel senso - afferma, facendo forse troppo semplicemente di ogni erba un fascio, ma è il senso che va colto - «di liberare la società dal feticcio della scuola, da quella "religione" della scuola che celebrano, con massima ipocrisia, soprattutto gli insegnanti e funzionari di sinistra, apparentemente i più coscienti e nella sostanza, qui come altrove, i più statalisti e autoritari di tutti».


30/01/1999