Università Cattolica del Sacro Cuore

Scuola, distruggere la tradizione non costruisce il futuro

C´è voluto un articolo dell´«Osservatore Romano» perché le perplessità sul riordino complessivo e radicale della scuola italiana promosso dal ministro Berlinguer guadagnassero l´attenzione generale. E purtroppo ha sicuramente ragione il Ds Folena corso in difesa quando risponde alle critiche affermando che anche «autorevoli cattolici» hanno contribuito al progetto. Non è una novità infatti la miopia di tanti intellettuali di pronto impiego e largo ascolto in alto in basso per le questioni di fondo specie se spinose. 

Questo però dimostra almeno che nel mondo cattolico vi è una libertà di pensiero che altrove non esiste tuttora. Basta ascoltare gli umori critici di tanti insegnanti sicuramente impegnati nel loro lavoro, e che si definiscono esplicitamente di sinistra, e confrontarli con l´ossequio sindacale, Cgil in testa, ai progetti ministeriali per rendersene conto. Che poi le osservazioni dell´Osservatore Romano siano, come afferma ancora Folena, un «violento attacco ideologico» è solo un modo  di dire per evitare di entrare in argomento e screditare preoccupazioni ben diffuse. Scrive Marta Sordi docente alla Cattolica che la riforma «potrà distruggere le basi tradizionali della cultura italiana e oscurare le sue radici classiche e cristiane»?

Ebbene non è il laicissimo Luciano Canfora a insistere da tempo sugli stessi problemi dell´altrettanto laico Corriere della Sera? Ma non vorrei qui ripetere quanto è stato scritto proprio su «L´Eco» pochissimi giorni fa a proposito del fatto che senza memoria non c´è futuro, senza passato progetto, senza tradizione innovazione.  Anche scendendo agli aspetti pratici la riforma dei cicli scolastici immaginata da Berlinguer provoca molti dubbi. Complessivamente gli anni di scuola scenderebbero da 13 (5+3+5) a 12 (6+6). Contemporaneamente quelli di università da 4 a 3. Alla fine, invece di 17 anni di studio ne avremmo 15. Ne avremmo guadagnati 2, o gli avremmo persi? La risposta è facile: persi.

Infatti da un lato l´accorpamento di elementari e medie accompagnato dalla riduzione ai soli tre anni finali del secondo ciclo - dai 15 ai 17 - della formazione specifica, e mirata a un determinato obiettivo, favorirebbe una scuola come mero contenitore e prevalente luogo di socializzazione. A studenti meno preparati, tanto è vero che da nessuna scuola superiore si potrebbe più accedere a tutte le facoltà universitarie, e meno maturi - non foss´altro perché più giovani - si offrirebbe poi una università accorciata, e per la quale si vagheggia per di più un primo anno comune a più indirizzi di studio e dunque meno professionalizzante.   Sicuro, gonfiamoci il petto, avremo dei laureati a 21 anni, ma di che livello? E capaci di far che?

Non staremo ingannando i giovani e le loro famiglie? E quale non sarà l´affare selvaggio di master di certo alto costo ma di incontrollabile serietà che si offriranno a tutti i livelli per «completare» una formazione troppo povera? Per quale mercato del lavoro, visto che alle esigenze produttive si fa tanto caso del progetto, i futuri diplomati laureati verranno preparati? Tutti per il pronto pizza e McDonald?  La distruzione della scuola elementare come prima specifica tappa di un percorso di vita con propri ritmi ed obiettivi, e la sua diluizione in un insieme meno caratterizzato, a sua volta non facilita certo la crescita emozionale ed intellettuale dei bambini. È esperienza di qualunque genitore - ma avranno figli questi riformatori o se ne sono mai occupati? - la fatica certo ma poi anche il frutto di maturità e responsabilizzazione che i passaggi scolastici da un ordine a grado dell´altro oggi impongono. E domani? Se i comunisti non mangiavano i bambini, i post-comunisti fanno di più: li mantengono tali il più a lungo possibile.  Però se un uomo d´età e rispetto come Berlinguer si mette su una strada così stravagante non può essere per caso. Ci deve essere del metodo in tanta follia. L´unica spiegazione possibile è che in realtà Berlinguer sia una talpa, un infiltrato nel governo, pagato o dalle scuole private o dagli americani per i loro scopi. La scuola che sembra emergere dal progetto, e per concretizzare la quale egli ha già amplissima e insindacabile delega del Parlamento, assomiglia tanto infatti alla americana, quella che vediamo nei telefilm, molto stare insieme e poca cultura, molto cameratismo e poca consapevolezza critica, e favorisce uno sviluppo (chiamiamolo così) della nostra società in quel senso. Di ostilità alla fine per la complessità, e il ragionare con la propria testa, e così via. Tanto quello sarebbe affare per i pochi, i figli dei ricchi e della stessa élite politica; e che gli altri non disturbino il manovratore. Il nipote di Veltroni vada a Cambridge, il nostro si accontenti di quel che passa il convento.  Oppure Berlinguer obbedisce agli ordini del cardinal Ruini, ed è d´accordo con le scuole private per trovare loro spazio e consenso sempre più ampio. Devastata la scuola pubblica, tutti i genitori normali preoccupati per il futuro dei loro figli a chi si rivolgeranno in certa di scampo? Ma è evidente: a quelle scuole non statali che in nome dell´autonomia e in forza di un patto tacito con i genitori stessi solo potranno pretendere e dare di più e di meglio ai loro studenti. Che è poi quel che accade già, guarda caso, con le scuole e università cattoliche nella lontana America, migliori delle pubbliche e per costi abbordabili più delle poche esclusivissime.  Speriamo che qualcuno apra in fretta gli occhi a D´Alema.


07/10/1999