Università Cattolica del Sacro Cuore

Un incontro che rilanci il confronto culturale

E così è arrivata la volta di D´Alema. Anche per lui, come per tutti i presidenti del Consiglio dalla fondazione della Repubblica, la visita in Vaticano è di prammatica. Per tanti motivi, il più stringente dei quali è che lo Stato italiano e quello Vaticano condividono la stessa città e che mille fili, culturali e pratici, legano l´Italia alla Santa Sede, e fanno il nostro Paese anche moralmente garante di fronte al mondo della libertà del Pontefice e della sua azione.

Così che, sempre su un piano non giuridico ma morale, un segnale di non gradimento vaticano nei confronti del governo italiano creerebbe a quest´ultimo non pochi imbarazzi internazionali. Per non parlare del ruolo spirituale che il Pontefice svolge per la grande maggioranza degli italiani. A eccitare l´attenzione questa volta è però il fatto dell´origine politica di D´Alema. Giovanni Paolo II di comunisti, doc, ex, post, ne ha conosciuti tanti da quand´era giovane prete e se pure il caso italiano abbia un rilievo particolare, dubito che a questo incontro egli attribuisca una rilevanza eccezionale. Ancora una volta passa davanti alla Chiesa nella persona di D´Alema, nella sua storia individuale, la figura di questo mondo, l´effimera sembianza d´una arroganza umana sconfitta. E doppiamente: nelle sue ragioni ideali, nelle sue strategie politiche.

D´Alema non arriva in Vaticano forte delle sue antiche certezze ideologiche, né alla testa dei cosacchi di Stalin; nemmeno con alle spalle una travolgente avanzata elettorale del suo partito; rappresenta una coalizione parlamentare eterogenea piuttosto che una parte chiaramente maggioritaria nel Paese. E di fronte a una figura carismatica come Giovanni Paolo II dubito lo possa aiutare la tradizionale sicurezza di sé. Posso piuttosto immaginare un moto di umana simpatia del Pontefice per un uomo in una così difficile situazione.

D´altra parte D´Alema è troppo intelligente e lucido per farsi illusioni sulla sua posizione di fronte al Papa. Non per nulla, mi sembra, si fa filtrare sui giornali vicini al Palazzo la proposta di una commissione italo-vaticana per trattare i temi caldi: scuola privata, giustizia. Ovvero la proposta di sottrarre al dibattito pubblico la ricerca di qualche soluzione per riservarla alle discrete conversazioni diplomatiche, là dove si possa magari trovare il modo per concedere, sveleniti nella trattativa da potenza a potenza i contrasti, ciò che appare difficile argomentare persuasivamente - con la propria cultura - di fronte al Paese, o alla propria maggioranza.

Di questo si può far forte D´Alema, non altro. E magari è possibile che questo si faccia, e che una commissione sia utile. Tutti ne saremmo lieti. E tuttavia a costo di sembrare antipatizzante per principio mi sembra che sarebbe una via non priva di rischi, direi quasi una scorciatoia di fronte a difficoltà con le quali gli italiani devono fare i conti. L´ampiezza della protesta contro una qualche ipotesi di finanziamento della scuola privata ha probabilmente suscitato stupore da tutte le parti: favorevoli e contrari, nessuno si immaginava che la questione potesse essere così sentita. Il fatto è che da entrambe le parti vi è una visione non pacificata della nostra storia nazionale.

Possiamo ragionarci all´infinito, sta di fatto che l´Italia è stata unita, oserei dire per la forza delle cose, per i condizionamenti della storia, da un ristretto gruppo in modi che non avevano reali alternative, né per loro, né - in buona sostanza - nemmeno per una Chiesa costretta all´opposizione dall´angoscia per le presunzioni della modernità. E per fortuna che è stata fatta questa Italia, dobbiamo aggiungere. Lo Stato nazionale mostra oggi tutti i suoi limiti, ma quei popoli che una identità istituzionale non hanno saputo farsi riconoscere stanno sicuramente peggio di noi; e quale libertà non ha dato al Pontefice e alla Chiesa la fine del dominio temporale? L´identità italiana è dunque complessa, riconoscerlo in spirito di condivisione di una esperienza da cui tutti siamo stati comunque segnati - e che ci rende, aggiungiamolo, immediatamente riconoscibili per cultura e «forma del vivere» tra gli altri europei, nel bene come nel male -, riconoscerlo per contribuire ciascuno con quanto di meglio può dare al vivere associato, alla ricerca del bene comune, riconoscerlo in definitiva come ricchezza e non come peso, questo è quanto oggi si deve ormai saper fare. E tanto più nel momento in cui sono venute meno le certezze ideologiche sul senso della storia e, per converso, ogni possibilità di legittimarsi per opposizione a esse.

Il pluralismo educativo non è dunque una minaccia, ma una opportunità. Ma il problema non va posto soltanto ai «laici». L´otto per mille per il finanziamento alla Chiesa ha dato, per riconoscimento unanime, risultati molto maggiori di quel che dapprincipio si prevedeva. Alla Chiesa che chiede per dare, che si offre come riferimento spirituale, gli italiani garantiscono mezzi e fiducia. Quando sembra, per cattiva comunicazione, per troppo parziale impostazione culturale, che chieda per avere, quando sembra loro insomma tradire la propria vocazione, quegli stessi italiani fanno in tanti il viso dell´arme. Ben venga dunque ogni commissione, ma non sostituisca l´elaborazione culturale. Ben venga la diplomazia, ma non scavalchi la Chiesa italiana, né attenui la laicità dello Stato, lasci alla democrazia e al confronto fra gli italiani ciò che loro spetta.


06/01/1999