Università Cattolica del Sacro Cuore

Addio Clinton. Gore lancia la sfida a Bush

«Ma un uomo non può sopportare delle ingiurie così. Se non se la sente lei, lo picchio io quello», disse lo spettatore di un minuscolo incidente stradale, negli Stati Uniti, a un italiano, investito di maleparole dall´altro automobilista e che chiedeva invece di chiamare la polizia. Chissà, forse anche quel samaritano, tanto bizzarro, ma solo ai nostri occhi, era un «conservatore compassionevole» come Bush junior.

Uno che vuol conciliare legge e ordine con l´attenzione soccorrevole alla massa dei poveri e degli emarginati ma non batte ciglio nel confermare, come governatore, la condanna a morte perfino dei minorati mentali. Un duro ma pronto a correre in soccorso dei buoni attaccati dai cattivi. Un vero uomo insomma. Di contro c´è l´altra metà del sogno americano.

Il ragazzone Al Gore rispettoso di Dio e della natura, pieno di buoni sentimenti e fiducioso nel prossimo, che promette una democrazia più partecipata, ma anche conti pubblici in ordine, e facilitazioni per integrare la pensione pubblica con la privata, ma tace sulla questione sanitaria. Lo so, sembra che i due stiano recitando in un film di John Ford il primo, di Frank Capra il secondo. E d´altra parte se noi ci rispecchiamo nelle maschere della commedia all´italiana dei Sordi, Tognazzi e Gassman, perché non dovrebbero gli americani nel loro cinema?    I due presidenti che sono rimasti nell´immaginario collettivo delle ultime generazioni non erano forse attori, come Ronald Reagan, e belli e splendenti divi, come John Kennedy?

C´è per tutti un mito americano, sia nel western classico o nella favola bella dell´uomo comune. In entrambi i casi il finale è noto: trionfano i buoni, perdono i cattivi. E sono sempre altro da noi. Non per niente quando il cattivo sembra trionfare, come Nixon, finisce poi smascherato e cacciato, o se buono che cede alla debolezza come Clinton, si pente pubblicamente e promette redenzione.  Bush junior, per inciso, ha fatto di più. Corre infatti già pentito per la vita dissipata da giovanotto ricco, rimesso sulla retta via dall´amore della moglie. E tutti allora a invocare Dio e a chiamarlo a proprio testimonio. Il candidato vicepresidente democratico è riuscito - dicono le cronache - a citarlo tredici volte in un minuto e mezzo. E pensare che è ebreo, e dovrebbe ricordare di non nominare il nome di Dio invano. Ma è anche americano, e questo evidentemente fa aggio su tutto. Dall´altra parte si esibisce nel gruppo il generale Colin Powel, un nero, ma eroe, e così a modo che lo inviterebbe a cena anche la destra repubblicana.   

E però non facciamoci ingannare. La maschera è il volto. Bush propone in questa maniera un capitalismo e un individualismo dal volto umano che potrebbero presentarsi quale modello prossimo venturo per il pianeta, come lo fu la politica di Reagan dapprima snobbata; e le sue durezze non sono errori o astuzie elettorali, ma parte forte del progetto. Gore d´altro canto è l´ennesimo erede della nuova frontiera kennediana, ma rivista pragmaticamente da un Clinton che ha lasciato per strada tutti i propositi riformatori degli esordi per puntare sulla prosperità economica, costi quel che costi al resto del pianeta, e finanzia il boom americano. Idee nuove, poche, mi pare. Come che vada, non sembra di vedere all´orizzonte dei grandi presidenti.

E se, come è stato detto, Bush e Gore, malgrado tutto, sono inevitabilmente chiamati a fornire modelli, o almeno materiali, per la destra e la sinistra del XXI secolo entrante, costituiscono allora la prova che tali categorie sono sempre più deboli e inefficaci, e che l´America pensa soprattutto a sé e nei suoi termini.


15/08/2000