Università Cattolica del Sacro Cuore

Atto di misericordia che deve far riflettere

«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Queste parole del «Padre nostro» sono le prime che vengono in mente di fronte alla notizia della grazia per Alì Agca. Il Papa che ha chiesto perdono per le insufficienze nella fede della Chiesa e che ha spesso parlato di chiedere e dare perdono come di due momenti strettamente legati - sollecitando la grazia per il suo attentatore, che l´aveva chiesta - ha compiuto quell´atto che secondo la fede impegna la misericordia stessa di Dio nel confronto con il gesto di carità dell´uomo quando questi rinuncia a ciò che gli spetta. Non vi è stato qui contratto premiale, come nella legislazione sui pentiti che ottengono uno sconto in cambio della collaborazione. Alì Agca ha mantenuto ferma fino a oggi - almeno pubblicamente e per quanto se ne sa - la sua posizione rispetto all´attentato come atto individuale. Non ha contribuito in alcun modo a chiarire i retroscena della vicenda. Ha chiesto un atto di misericordia -  perché la grazia può essere concessa solo a chi la chieda e solo con il consenso di chi è stato parte lesa - e questo atto gli è stato donato. Né il vecchio Papa ha messo in discussione la giustizia umana o il ruolo dello Stato come garante della sicurezza collettiva. 

Nell´anno del Giubileo la grazia ad Agca, diciannove anni dopo quel giorno in piazza San Pietro, non è un appello ad atti indiscriminati di cosiddetta clemenza, a parificare le vittime e i colpevoli, a colpi di spugna, è bensì - e in questo sta la sua forza - un atto di carità che va oltre l´ambito della giustizia senza negarla perché coinvolge la responsabilità della vittima in un atto fortissimo di amore, il quale offre l´esempio - nel segno della fede e sul modello di Cristo vittima innocente, esempio fatto proprio dal Papa - della possibile restaurazione dei rapporti umani anche nei confronti dell´offensore. La Chiesa italiana, per bocca del cardinale  Ruini e dei vescovi, nelle passate settimane ha prospettato l´idea di una amnistia.

Dopo che negli ultimi tempi le preoccupazioni dell´opinione pubblica in tema di giustizia sono state sempre più quelle per le scarcerazioni facili e per la incertezza della pena e che esse sono state fatte proprie da governo e opposizione nel nome di un allarme sociale da far rientrare, si tratta di una posizione senza dubbio coraggiosa. E che va valutata, io credo, alla luce della scelta individuale del Pontefice sanzionata dal presidente della Repubblica. C´è stato un tempo, non tanto lontano, nel quale l´amnistia serviva periodicamente per alleggerire il lavoro arretrato dei tribunali e sfoltire la popolazione carceraria. Serviva insomma per rimediare, carità pelosa, alle inefficienze del sistema giudiziario e penitenziale. Poi è stata agitata, l´idea dell´amnistia, per risolvere problemi politici come Tangentopoli. Suggerire oggi l´amnistia non può significare né l´una cosa né l´altra, all´ombra di una reverenza che suonerebbe un poco ipocrita dello Stato laico per l´evento giubilare.

Seguendo l´esempio del Papa parlare oggi di amnistia non può non significare invece interpellare la coscienza collettiva degli italiani, chiedere loro se se la sentono di compiere un atto consapevole di perdono nei confronti di coloro che sono nostri comuni debitori. Un atto di misericordia tanto più impegnativo perché rivolto verso uomini senza volto e delle cui intenzioni nulla sappiamo. Il vecchio Papa venuto da lontano ha perdonato a un uomo misterioso - atteso ora da altri nove anni di carcere per un omicidio a casa sua in Turchia - e questo gesto indubbiamente pesa. Senza approfittarne per qualche scorciatoia dall´alto vediamo se e come può indurci a riflettere, e forse crescere, come collettività e a tener conto anche di chi l´ha tradita, di nostro fratello Giuda, come diceva tanto tempo fa don Primo Mazzolari.


14/06/2000