Università Cattolica del Sacro Cuore

Calcio & miliardi, si riscrive la storia d´Italia


Lo straordinario andamento dell´ultima domenica di campionato, così ricco di suspense e di colpi di scena che nessun sceneggiatore avrebbe mai potuto immaginare una trama tanto avvincente, ha riconciliato gli animi di tutti con il calcio. 

Sarebbe troppo facile tuttavia dire, tutto è bene quel che finisce bene, e trarne dimostrazione che gli allarmi e le amarezze di una stagione convulsa, ricca di sussurri e grida, erano esagerati, che è bastata la pioggia di Perugia a lavarli via. Anzi proprio quella pioggia ha fornito la prova di quanto fragile sia ormai l´intero meccanismo, di quanto i protagonisti siano incerti e confusi. Mi riferisco al ritardo con cui è cominciato il secondo tempo a Roma. Era evidente che la ricercata sincronicità di svolgimento delle due partite pensata come garanzia di regolarità non poteva intendersi altro che come simultaneità del loro avvio, non certo del concreto svolgimento.  Immaginare questo avrebbe comportato conseguenze paradossali e assurde.

Come in effetti si è profilato potesse accadere quando a Roma la partita non riprendeva malgrado sul campo nulla lo impedisse. Il buon senso era paralizzato dai dubbi più insensati evidentemente, e le regole invece di servire di guida e garanzia finivano per imprigionare e terrorizzare chi le aveva pensate.  Per fortuna poi si è ricominciato a giocare, e anche a Perugia l´arbitro Collina ha mantenuto i nervi saldi, controllando una situazione psicologicamente difficile, e condotto in porto partita e campionato.  Per fortuna, dicevo. E in effetti ci si fosse messa un poco di sfortuna chissà come poteva precipitare e aggrovigliarsi una situazione come quella di domenica cui si era arrivati con i nervi tanto tesi. Rallegriamoci per lo scampato pericolo allora, ma interroghiamoci comunque sul perché le faccende del calcio, e in generale dello sport sono arrivate a un tale punto. Infatti se il calcio piange, l´altro grande sport popolare, il ciclismo, non ride. Anche qui sospetti e veleni.

La vicenda del possibile doping di Pantani lasciata da lui stesso nell´ambiguità, e l´ematocrito di Berzin subito irregolare non sono certo di buon auspicio.   E la morte di due campioni del passato ci ha fatto toccare con mano in questi giorni la differenza dallo sport di ieri. Carletto Parola, immortalato per quell´aerea sforbiciata diventata emblema del gesto atletico, aveva dato il proprio nome a una marca di palloni. E questo era stato il massimo del marketing di ieri. La casa di Bartali l´abbiamo vista tutti in televisione, e non rappresentava certo uno status- symbol di ricchezza e mondanità.  Quando poi ci è stato rivelato che negli Anni Ottanta aveva rifiutato il sussidio della legge Bacchelli (quella che permette di aiutare italiani illustri in una vecchiaia difficile) per rispetto dei suoi gregari che avevano faticato con lui, e molto meno di lui avevano avuto, abbiamo potuto meglio apprezzare accanto a quella del campione anche la grandezza dell´uomo. Certo, come il coraggio, anche la dignità e il rispetto di sé forse uno se non ce li ha non se li può dare, ma mi pare indubbio che nello sport di oggi, in quelli di massimo successo almeno, sia diventato difficile coltivarli. Fino a non molti anni fa la panchina anche di una grande squadra di calcio era fatta di pochissimi giocatori. 

Oggi i club maggiori hanno in forza almeno due compagini pressoché complete. Un infortunio, un paio di giornate storte, e si è fuori, e si può anche perdere la testa vedendo il giovane rincalzo prendere brillantemente il tuo posto. Chiedere a qualche portiere di serie A per conferma. Non era tutto oro nemmeno una volta, sia chiaro, ma la pressione cui sono sottoposti i giocatori oggi è cresciuta almeno quanto i loro guadagni, e va di pari passo con l´aleatorietà della loro condizione privilegiata. In un mondo che definisce «giovani» persone al di là della trentina perdonando loro per questo immaturità e follie, a ragazzi ventenni si addossano responsabilità micidiali per tutto ciò che al loro «rendimento», come si dice, consegue, in termini di resa economica e di proiezione nell´immaginario collettivo.  Ma quando si arrivano a picchiare i giocatori che perdono come sta accadendo nelle serie minori, evidentemente non si può rovesciare ogni colpa addosso ai presidenti che drogano squadre e campionato per i diritti televisivi, che spendono miliardi e vedono i propri investimenti andare a rotoli, né dar ogni colpa alla televisione che enfatizza ogni momento (abbiamo visto di più Bartali noi in pochi giorni che gli appassionati di cinquant´anni fa lungo tutta la sua carriera, io credo) e spettacolarizza ogni gesto. 

Accanto a tutto questo c´è altro. Ed è, io credo, magari come riflesso di quanto appena detto, una sorta di pretesa mercantile che trasforma il gioco in puro spettacolo. Se non sono soddisfatto e non posso esser rimborsato, allora mi faccio «giustizia» da solo, sfascio il teatro, distruggo gli attori. Metaforicamente, o anche fisicamente in qualche caso. Atleti ridotti a gladiatori nel circo romano per il piacere di chi guarda allora. Ma anche noi ridotti a spettatori di quel circo. Cinici ed esasperati. I cori razzisti, l´intolleranza nei confronti dell´avversario lo controprovano. Non lamentiamoci troppo allora: ci danno quello che vogliamo, e peggio per noi se vogliamo proprio questo, uno spettacolo da circo e non uno sport.


16/05/2000