Università Cattolica del Sacro Cuore

Fattoria biotecnologica occorrono dei paletti

Gli stessi ricercatori che avevano a suo tempo prodotto la pecora «Dolly», il primo mammifero clonato, hanno fatto nascere due agnelli geneticamente modificati.  Se la tecnica della clonazione è la stessa, la novità sta nel fatto che il Dna di «Cupido» e «Diana» - così si chiamano i due animali - è stato alterato in modo mirato e che queste alterazioni sono ormai iscritte nel genoma dei loro discendenti per sempre; o meglio fino a quando non si interverrà per introdurre altre alterazioni.   Finora tutto ciò sui mammiferi non era stato possibile realizzarlo, ed è evidente il salto che si è così compiuto.

I primi commenti insistono sul fatto che si tratta di vicende e novità che riguardano solo gli animali, che rimangono nell´ambito della zootecnia e consentono rispetto all´uomo semmai di produrre latte arricchito da farmaci o carne da vitamine.  Ma è evidente che la fattoria biotecnologica sta crescendo vicino, sempre più vicino, alla casa dell´uomo e, se destano allarme gli alimenti vegetali geneticamente modificati, non si vede perché si debba stare tranquilli di fronte agli animali.   Quando sembrava che la legge sulla fecondazione artificiale assistita dovesse rimuovere ogni limite di coppie sposate o meno, di singoli e di omosessuali, qualcuno ha cantato le lodi della tecnica implicitamente affermando che tutto ciò che è possibile è per ciò stesso lecito e buono.  

Ma ne siamo davvero sicuri? Certo, quando l´intervento eugenetico si risolveva nella sterilizzazione o nella soppressione dei pazzi o dei malati - come nella Germania nazista - era facile provare orrore e rifiutare liceità a simili pratiche.   Ma anche a voler dimenticare che pure altri Paesi avevano introdotto nelle loro legislazioni, al principio del secolo, criteri di intervento non tanto difformi, e che dunque c´è voluto l´orrore complessivo e totale dell´esperimento sociale hitleriano per far davvero riflettere, siamo proprio sicuri che eventuali forme all´apparenza tanto più morbide di intervento per «raddrizzare» un genoma diciamo così difettoso, non possano condurre a risultati egualmente devastanti per la coscienza individuale e per la società? Quanta imperfezione sarà tollerata? Quanta diversità individuale? Quanta libertà di non conformità a standard di «normalità» fisica e psichica?

Alla fin fine già oggi il tasso di colesterolo a 200 come standard di normalità non dipende, pare, da ragioni fisiologiche - quello normale sarebbe leggermente più alto - ma dagli studi delle assicurazioni americane, le quali hanno già da molto tempo constatato che chi ha meno di 200 corre minimi rischi di infarto. Speriamo che non sia vero, ma immaginiamo quel che potrebbe succedere una volta che fosse possibile intervenire a modificare il genoma umano; magari con costi tanto alti da non esser per tutti accettabili, tanto per introdurre un´inquietudine in più. Fermare la ricerca allora? È praticamente impossibile, perché troppi Paesi sfuggono a ogni possibile controllo. Fermarci noi a riflettere però sì che è possibile. Anzi doveroso.

Nel momento in cui siamo sempre più padroni della natura, e dunque disponiamo sempre più anche del futuro dei nostri discendenti, le nostre responsabilità crescono e occorre rendersene conto. E cambiano di misura. Non riguardano più singoli Paesi, coinvolgono l´umanità intera. Siamo riusciti venticinque anni fa a realizzare la «Dichiarazione universale dei diritti dell´uomo» contro gli attentati politici alla libertà, è tempo di mettersi a lavorare per una nuova carta dei diritti e delle responsabilità nei confronti della natura e sue modificazioni.


29/06/2000