Università Cattolica del Sacro Cuore

L'Italia galoppa in sella al Cavallino

Ha vinto l´unico rosso che piace anche a Berlusconi, quello Ferrari. L´altra volta si era in un´era geologica diversa. Ventun´anni fa il nostro presente era inimmaginabile. Solo chi avesse scommesso sulla presenza ancora di Andreotti e Agnelli avrebbe vinto. Ma Fini era un giovanotto del Fuan, Veltroni pensava al cinema, Berlusconi alle case, Bossi fingeva di studiare medicina, le Brigate rosse imperversavano, la Dc teneva le elezioni e il Pci le perdeva, Breznev era presidente del Soviet supremo dell´Urss, e in Iran c´era ancora, a gennaio, lo Scià. Le Ferrari piacevano, ma non ricordo la passione di questi giorni.

La prima grande festa nazional-popolare sarebbe venuta solo tre anni dopo con la vittoria ai mondiali di calcio in Spagna, quando, come ha confessato, persino Bobo Maroni, leghista antemarcia, si sentì orgoglioso d´essere italiano.  La parola patria poteva ancora dividere, ma in quell´estate dell´82 gli italiani poterono esser fieri di sé senza distinzioni di campi politici e condizioni sociali. Non a caso l´immagine di Pertini che esulta e l´urlo di Tardelli, felicemente inconsapevole dei pasticci in cui si sarebbe messo da grande accettando di allenare l´Inter, sono entrati nella memoria minima del Paese. Forse è dir troppo, ma quel giorno finì nella coscienza collettiva il dopoguerra, con le sue divisioni e umiliazioni. E cominciò la storia che ha reso così agonica l´attesa della conquista del titolo mondiale della Ferrari in questi ultimi tre anni.

Quella cioè di un Paese consapevole del suo valore, e non solo dei suoi limiti, e che è stufo di meritare cortesi complimenti per la partecipazione, tanto più calorosi quanto più evidente è il complesso di superiorità di chi li fa.  E allora che una volta il pilota si rompa la gamba, l´altra vada a sbattere come un cretino nella macchina dell´avversario, e, più grossa di tutte, non si trovi la gomma giusta e alla fine si sia sempre sconfitti all´ultima gara, bruciava tanto più perché riconfermava l´idea altrui d´un modo di far le cose «all´italiana», un modo in cui gli italiani sempre meno eran disposti a lasciarsi imprigionare. E vincere sui tedeschi poi, la rappresentazione per eccellenza di tutte le virtù che ci mancherebbero, come nel ´70, come nell´82, e insieme sugli inglesi, quelli cui avremmo dovuto assomigliare per diventare bravi europei, diventava la simbolica prova di maturità di un intero Paese.

Però il pilota è tedesco, il tattico inglese, il capo operativo francese, Montezemolo piemontese, cioè lui stesso si sente d´una razza a parte. Solo i meccanici sono davvero italiani. Sta a vedere che qualcuno tirerà fuori di nuovo la vecchia idea degli italiani bravi soldati e pessimi comandanti. Niente da fare, la battaglia con gli stereotipi continua, e la consegna del diploma di maturità rinviata. Però oggi facciamo festa noi.


09/10/2000