- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2000
- La qualità della vita si presenta: ci sono anch´io
La qualità della vita si presenta: ci sono anch´io
La qualità della vita propongono i trenta sindaci delle «città slow», delle «città del buon vivere» e si sono dati una carta, delle regole per entrare nel club. Dalla pedonalizzazione dei centri storici alla lotta ad ogni forma di inquinamento, dalla salvaguardia delle tradizioni locali alla bioarchitettura e alla realizzazione nelle scuole di programmi di educazione al gusto.
Si tratta di un importante segno dei tempi, come la presenza della ministra Melandri a madrina dell´iniziativa dimostra e che riguarda Comuni da Bra a Greve in Chianti, da Loreto a Palestrina, da Orvieto a Positano. Sono lontani quelli in cui il nuovo significava velocità e mutamento, piani regolatori demolitori, via le vecchie usanze, e quanto al gusto una mitica rozzezza proletaria veniva esaltata e contrapposta a modi considerati borghesemente perbenisti. Della città da cui provengo quando la maggioranza frontista decise alla metà degli Anni Cinquanta di «risanare» il centro con un vasto programma di demolizioni, e conseguente espulsione dei ceti popolari che in centro vivevano, non fu tollerata alcuna voce di dissenso all´operazione. Un articolo contro su una rivista fiancheggiatrice del partito portò all´acquisto sistematico da parte della Federazione di tutte le copie nelle edicole e all´emarginazione del coraggioso e isolato oppositore. Non certo sostenuto dall´altra parte, troppo interessata ai grandi lavori edilizi e partecipe alla fine della medesima cultura.
Non per niente accanto al quartiere «risanato» degli anni ´50 ci stanno infatti un iniziale intervento umbertino e poi i presuntuosi edifici fascistissimi e piacentiniani. Dal Risorgimento in poi l´Italia ha cercato ostinatamente di sradicare il proprio passato, di negarlo, per apparire finalmente moderna come gli altri. Ha visto nella tradizione piuttosto un disvalore che qualcosa da preservare; incapace di giustificare la propria storia se n´è inventata un´altra, mitica, fatta di avanguardie religiose o civili, di eretici o savi liberali, sempre sconfitta dal peso del passato e dall´ostilità di un´ottusa maggioranza volentieri manipolata dalla Chiesa. Ancora oggi chi legga il volumetto tanto celebrato di Galli della Loggia su «L´identità italiana» troverà molti di questi stereotipi sul passato e un acuto rimpianto per una storia italiana che non ha corrisposto al modello ideale di una civilizzazione anglo-francese con austerità prussiane che solo noi, peraltro, avremmo dovuto incarnare.
Contraddittoriamente poi si lamenta l´americanizzazione attuale dei nostri comportamenti, ovvero l´ultimo e più compiuto esito di quella stessa «modernizzazione» che ci avrebbe dovuto riscattare da ataviche inferiorità. Poveri noi, non ne facciamo mai una giusta. Per fortuna che c´è chi non si stanca di farci la predica tutti i giorni. Il progetto delle «città del buon vivere» sta probabilmente dentro la medesima contraddizione, tra fughe in avanti come il proposto cablaggio delle città ed estetizzazione della cultura materiale. Così che San Daniele vi entra perché produce famosi prosciutti e Zibello per il suo prelibato culatello. Sia come sia, meglio questo che altro. Se può essere questa la via per arrivare a patti con la nostra storia ben venga. Certo li voglio vedere gli educatori del gusto. Se il «buon gusto» non si limiterà ad insegnare a distinguere il vino buono dal cattivo e il San Daniele dai prosciutti industriali, e sarebbe un po´ poco, finiranno dritti dritti su questioni spinosissime.
L´etichetta qualcuno dice sia una piccola etica, un´etica del quotidiano, e come si insegnano allora le virtù civili oggi? Magari toccherà loro persino rivalutare la tradizione cattolica del Paese. Facendo l´anno scorso la storia della trattatistica sul comportamento socialmente accettabile, Inge Botteri nel suo «Galateo e galatei» ha mostrato come dopo l´Unità fallisca il progetto d´un galateo «popolare», ovvero come sia impossibile nella modernità del nuovo Stato trovare un accordo sulle regole del vivere comune che sostituisca, per così dire, la politica e le sue divisioni. Oggi la crisi della stessa politica e del civismo ideologico che l´ha accompagnata rende plausibili i tentativi post-moderni come quello delle trenta «città slow». Il modello insomma non è più Bologna - dove si fanno i «garini» con le macchine per le strade tal quale a Napoli e i quartieri della periferia sud quanto a emarginazione rivaleggiano con Quartoggiaro e Ponte Lambro a Milano - ma Massa Marittima, o Morbegno.
C´è anche Chiavenna, malgrado la suora recentemente ammazzata da tre ragazzine annoiate che si propone come città del buon vivere. Mi rendo conto che sto giocando un po´ pesante richiamando questo caso, ma il timore è che si dia troppo per scontato il Paradiso in terra, il timore che le «città slow» non siano come i Comuni che 20 o 30 anni fa si proclamavano denuclearizzati semplicemente perché la loro buona sorte così aveva voluto, e si faceva del facile e innocuo annuncio prova di buona politica. È vero che da qualche parte si deve pur cominciare, e va dato tutto l´incoraggiamento al progetto, ma non facciamoci incantare dal sorriso della ministra. Siamo solo all´inizio e la strada, se sarà seria, non sarà facile, e sarà lunga e culturalmente impegnativa.
Uno che di lentezza e qualità della vita se ne intendeva, Orazio, suggeriva 2000 anni fa «sestina lente», affrettati lentamente e proclamava pure che «in medio stat virtus», che si sbaglia tanto per eccesso che per difetto e non bisogna mai esagerare. Sapranno i nostri trenta valorosi sindaci trovare tanta medietà evitando intolleranze politicamente corrette come esibizionismo patetico? Speriamo di sì, e speriamo facciano davvero scuola e che l´onda del sasso buttato nello stagno un po´ fermo della modernità provochi qualche effetto anche lontano, anche nelle città più grandi dove vive la maggioranza di noi. E speriamo anche che non gli venga di credere all´ex ministro Berlinguer e ai suoi emuli quando spiegavano che la cultura classica, oltre implicitamente alla Chiesa è ovvio, li ha rovinati. Saremmo da capo, e ci resterebbero solo le prediche dei Galli della Loggia.
23/07/2000