- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
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- 2000
- Ma com'è difficile rifare nel Duemila il Festival della Prima Repubblica
Ma com'è difficile rifare nel Duemila il Festival della Prima Repubblica
E così anche il 50° festival di Sanremo si è concluso. Il numero tondo avrebbe potuto solleticare velleità storiografiche o almeno ricordi del come eravamo. Si è fatta la storia del Giro d´Italia, si è vista nella rivalità fra Coppi e Bartali una allegoria del carattere degli italiani, perchè non proporre la storia minore del Festival sullo sfondo della storia d´Italia? Qualche timido cenno in questo senso non è mancato, in particolare con il premio alla carriera a Toni Renis e la sua evocazione di Domenico Modugno; la presenza di Mike Bongiorno, presentatore di undici edizioni - quasi dodici ha spiegato civettuolo, ricordando una revoca dell´incarico all´ultimo minuto -; l´ossessiva se pur incidentale evocazione da parte di molti del suicidio di Tenco. Ma la strada scelta non è stata quella di una esplicita rievocazione. Forse si è pensato che sarebbe stata troppo malinconica, che l´apparizione delle vecchie glorie avrebbe costretto a riflettere sulla vanità delle vanità, sui giorni di ciascuno come ombra che declina. Tutte considerazioni contraddittorie con l´effimero delle canzonette, il loro essere per regolamento ogni anno nuove, nuovissime, addirittura inedite.
E però mi sembra che una sensazione di già visto, di un trascorrere sulla scena di fantasmi del passato abbia dominato il festival. Non mi riferisco solo al giovanilismo di Gianni Morandi, alla sua gara per il capello meglio tinto con Pavarotti, al portare in giro di quest´ultimo l´icona di se stesso, pupazzone imbalsamato del Grande Tenore. Nemmeno a ospiti d´annata come Tina Turner o Tom Jones, sempre ottimi professionisti. D´altro canto molti anni fa persino un vecchio e imbarazzante Louis Amstrong si fece tentare dal cachet del festival, per gli stranieri molto probabilmente niente più che una esibizione fra tante.
Penso alle canzoni, specie dei cosiddetti Big, nella maggior parte dei casi manieristiche rielaborazioni di testi e musica alla maniera di, ...Battisti, Tenco, Ramazzotti, e così via. Quando non di se stessi vent´anni dopo. Penso soprattutto alla conduzione del Festival. Non l´avesse vivificato ogni tanto Teo Teocoli, pur sacrificato dai tempi, non ci fosse stata nel dopofestival l´ironia demenziale dei Fichi d´India sulle demenzialità della realtà (tra loro e i venditori televisivi, chi imita chi?), non ci fossero stati gli argomenti complementari di Sastre e Marcuzzi e la simpatia un poco ingenua di quest´ultima, cosa ne sarebbe rimasto? Forse solo la tempesta in un bicchier d´acqua della «rap condicio» per l´appello alla cancellazione dei debiti del terzo mondo.
Fabio Fazio è un conduttore da camera, il suo esibito minimalismo dà il meglio di sè quando può giocare di sponda sulla vitalità altrui, come in Quelli che il calcio... Tanti anni fa in un pezzo memorabile Umberto Eco spiegò il successo di Mike Bongiorno con la sua spontanea capacità di meravigliarsi della realtà, di esserne sempre al di sotto per così dire, e di mettere in tal modo a loro agio i suoi telespettatori facendoseli complici. Fabio Fazio gioca a fare il Mike Bongiorno, un Mike di secondo grado però, finto ingenuo per finti complici.
Là dove questi ultimi sono a loro volta parte del gioco, come a «Quelli che il calcio...», il meccanismo funziona con soddisfazione di tutti. Nel Festival l´effetto invece è diverso. Per i cantanti infatti la «gara canora» non è un gioco ma una faccenda seria e l´ironia del bravo presentatore, così come lo scender i partecipanti delle scale alla maniera di Wanda Osiris deforma lo spettacolo della gara senza rinnovarla. Anzi l´ossessiva citazione del passato di cui ci si vorrebbe prender gioco (e non per niente almeno Alice si è rifiutata di entrare in scena scendendo le scale) finisce per imprigionare in esso, che appare come l´unica realtà possibile. Ma allora sta a vedere che proprio così il Festival del cinquantenario ha davvero commentato la nostra storia, non quella minore delle canzoni, quella di una Seconda Repubblica e dei suoi conduttori, tanto colti e consapevoli da esser costretti sempre più a imitare la Prima.
28/02/2000