Università Cattolica del Sacro Cuore

Ma non dimentichiamo il monopolio di Stato

Per me le sigarette erano le Giubek, che fumava mio padre e impregnavano d´un odore inconfondibile e amatissimo il suo cappotto. Poi furono le nuvole di fumo nei cinema d´essai da studente, che si confondevano con i Bergman e i Dreyer d´annata. Poi basta. Mai provato il gusto della sigaretta, al massimo qualche mezzo toscano offerto da un amico. Troppo facile che sia d´accordo con Veronesi, ministro e oncologo, nella sua dichiarazione di guerra al tabacco. Ma d´altra parte chi potrebbe esser contrario?

Anche chi fuma sa benissimo quanto male gli fa, e che col fumo passivo danneggia pure gli altri. E non mi impressionano certo le lamentele dei fumatori quando si proclamano minoranza oppressa, tanto più osservando che purtroppo i giovani fumano oggi di nuovo più di ieri. Infine, a favore del tabacco non si può dire niente, e le multinazionali del settore incarnano il nemico ideale, un cattivo senza attenuanti, che ci fa sentire subito buoni. Tanto più adesso che abbiamo appreso come il tabacco delle sigarette venga manipolato con additivi che aumentano la dipendenza nel fumatore.   

Battaglia bella e giusta quella del ministro. Certo, se avesse detto anche qualcosa sul fatto che a nostra volta siamo pure noi, come paese e come Stato, produttori di tabacco e sigarette, e sul vizio ci lucriamo pure, sarebbe stato meglio. Ci avrebbe ricordato che la realtà è più complicata di quanto sembra. Ancor meglio se avesse richiamato pure il fatto che l´inquinamento dell´aria nelle città non fa meno danno, e colpisce ancor più indiscriminatamente del fumo da tabacco.

Ma intanto accontentiamoci, e pensiamo pure che il divieto nei locali aperti al pubblico per rispetto di chi non fuma può servire da bell´esempio anche per reclamare e comprovare la opportunità di altre forme di rispetto: ad esempio in un uso discreto dei telefonini, per citare un caso e forse un surrogato della sigaretta stessa, e in generale in un atteggiamento di maggior cura e attenzione per chi ci sta vicino. Non sembri che così dicendo si stia riducendo a questione di etichetta un dramma sociale il quale fa migliaia di morti ogni anno come il fumo. Il fatto è che le limitazioni imposte ai fumatori investono questioni e significano di scelte importanti, anche oltre il determinante fatto sanitario. Per secoli fumare è stato un comportamento socialmente disdicevole e tendenzialmente relegato negli strati più bassi della società. Né era il fumo il modo unico di consumare tabacco.

C'era quello da masticare e quello da annusare, che era considerata pratica più elegante.   

Solo nell´Ottocento e soprattutto nel Novecento il fumo ha cambiato di senso e da vizio è diventato affermazione di libertà, quando non addirittura fattore benefico per l´attività intellettuale, come spiegano vecchie pubblicità del Monopolio. La sigaretta, il cui uso è diventato prevalente durante la prima guerra mondiale perché il tabacco era più facile da distribuire alle truppe in tale forma, ha rappresentato una prima affermazione di massa d´una incipiente società dei consumi. Mandare in fumo cifre sia pur modiche dimostrava che si era fuori dalla miseria, e ripetere l´atto più e più volte al giorno, che ci si poteva concedere un lusso, per quanto piccolo.

Che non si era da meno degli altri insomma, e al passo con la modernità. Non per niente gli eroi dei film americani degli anni Trenta-Quaranta hanno sempre una sigaretta in bocca: Bogart insegna. Oggi che tale comportamento venga sanzionato e disapprovato è un segnale, magari piccolo, di un possibile cambiamento di mentalità, di ridefinizione della mascolinità fra l´altro - come comprova anche il fatto che crescono soprattutto le fumatrici, e di nuovo il tabagismo si lega prevalentemente a condizioni sociali modeste - di messa in discussione di un´idea di libertà come spreco e consumo, affermazione di sé e noncuranza sociale. O almeno anche su questo può far riflettere la indubbia condivisione sociale delle scelte proibizioniste del ministro.


08/07/2000