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- 2000
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Quando il dibattito politico scade a cortese salotto televisivo
Dice la Bibbia: c´è un tempo per ogni cosa nella vita dell´uomo. Quindi anche di quello politico. Il tempo delle dichiarazioni e dei dibattiti pubblici e ufficiali, e quello degli incontri informali, delle discussioni private, delle interviste più o meno concordate. Preparatorie al momento pubblico.
Da ultimo tuttavia sta accadendo qualcosa di nuovo. Le sedi istituzionali del dibattito politico vengono disertate o scavalcate, gli annunci più importanti non si fanno più in parlamento, davanti a colleghi e avversari, nemmeno in riunioni di partito o in occasioni formali. Per capire che succede sempre più occorre sintonizzarsi su Porta a Porta. Qui Amato ha annunciato che non avrebbe contrastato la corsa di Rutelli come futuro premier del centro sinistra, qui D´Antoni ha appena annunciato che scenderà in campo per formare il suo grande centro. E si tratta soltanto dei casi più clamorosi.
Fatti i complimenti più vivi a Bruno Vespa, il quale ha saputo guadagnarsi con garbo e stile un prestigio tanto grande da divenire il megafono più apprezzato della politica italiana, non si può tuttavia non restare perplessi di fronte a tale fenomeno. Non è infatti soltanto questione di spettacolarizzazione della politica: quella delle riunioni del Consiglio dei ministri che finiscono giusto giusto alle 20 e tre minuti per permettere l´intervista in diretta al Tg 1 sulle ultime risoluzioni governative, o quella che misura la forza di un candidato sulla sua telegenia, piuttosto che sulle sue idee.
Tutti sanno infatti che il mezzo è il messaggio, e la televisione usata per annunciare le scelte più importanti diventa l´equivalente postmoderno del balcone di Piazza Venezia. In una dimensione mediatica differente, come allora anche oggi i cittadini sono relegati in tali situazioni al rango di meri ascoltatori.
Allora la complicità fra il Duce che annunciava una qualche ora del destino e gli italiani si realizzava nella prossimità fisica, nella eccitazione retorica, oggi si raggiunge attraverso la voyeuristica osservazione d´un salotto cortese, nell´esser messi a parte d´una garbata conversazione, cui però assistiamo nascosti, dal buco della telecamera.
Certo la scena è prodotta per noi, gli attori recitano per noi, ma noi restiamo invisibili, e senza parola. Se pensiamo a cos´erano le tribune televisive dei primordi della televisione, quando il giornalista Mangione riusciva a far saltare i nervi persino a un navigatissimo Togliatti, possiamo misurare meglio la differenza con l´oggi, l´evoluzione del mezzo e del messaggio, l´impoverimento, dispiace dirlo, della democrazia.
Perché tanto più visibile e immediato è l´annuncio, tanto più nascosta ne è la formazione. Scavalcare le sedi deputate al dibattito democratico, produrre un cortocircuito mediatico, significa infatti che, quasi come nel ventennio, tutto accade nel segreto. Guicciardini commentando la crisi della Firenze repubblicana e l´ascesa dei Medici al principato scriveva che ormai «tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso, che, non vi penetrando l´occhio degli uomini, tanto sa el popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India».
Non siamo ancora a questo punto, ma che le voci mediatiche, o le ricostruzioni giornalistiche dei retroscena, con l´inevitabile riduzione delle ragioni alte o lontane del dibattito alle contingenze e miserie quotidiane, siano diventate modi sempre più importanti per la conoscenza del lavoro politico e la formazione dell´opinione, dovrebbe indurci a riflettere. Anche perché, se fortunatamente non ci sono, e non ci possono essere, Duci all´orizzonte, nemmeno possiamo consolarci, si fa per dire, della nostra libertà impoverita con la prospettiva di prossimi Principi splendidi e rinascimentali.
Per quante ville, bucintori o profili classici i nostri politici posseggano.
17/10/2000