Università Cattolica del Sacro Cuore

Se è il cuoco di bordo a dirci dove andare

Tre giorni fa un poliziotto a Napoli spara e uccide un ragazzo in motorino che non si era fermato all´alt, ieri viene recuperato il corpo di un agente della finanza annegato dopo lo speronamento degli scafisti in Adriatico. Ancora ieri a Milano un ispettore di polizia, che accusava un rapinatore di aver tentato di sparargli addosso per quattro volte, viene smentito al processo assieme al vicedirettore della banca assalita dalle riprese della telecamera a circuito chiuso. La settimana scorsa un giovane maresciallo dei carabinieri, di nuovo in Puglia, viene ucciso a sangue freddo dai rapinatori di un´altra banca.  Giustizieri e vittime, vittime e giustizieri. La storia continua a ripetersi in questi giorni e il pendolo oscilla implacabile colpendo i servitori in armi dello Stato di qua e di là, di là e di qua. Vittime o carnefici, eroi quotidiani o rambo dal grilletto facile. Di qua e di là qualche volta per scelta, qualche volta per caso. Se il giovane ucciso a Napoli fosse stato un pericoloso ricercato, come sarebbe giudicato ora quel poliziotto? E la sua richiesta, rifiutata, di perdono alla famiglia? Una debolezza, il timore di una vendetta? Ma quel ragazzo era solo un ragazzo e se nello scontro in mare fossero annegati gli altri, con che sospetti sarebbero state accolte le dichiarazioni dei finanzieri vivi? 

Quando si ascoltano i discorsi dei medici fra di loro, dei chirurghi soprattutto, prende facilmente il gelo. La consuetudine con la morte ha alterato, pensiamo noi, la loro percezione della realtà. Ma senza quella freddezza nel trattare come corpi delle vite in bilico ci sarebbero più errori, e più racconti senza lieto fine. Come a loro, chiediamo ai servitori in armi dello Stato coinvolgimento professionale ma freddezza, umanità ma rigore tecnico. Lo chiediamo però a gente che non ha davanti un corpo anestetizzato, un gruppo di collaboratori, magari del tempo, e comunque la difesa data da un sapere difficilmente contestabile. Lo chiediamo a gente che in gioco mette anche la propria vita, con alle spalle una società volentieri schizofrenica la quale un giorno chiede più sicurezza e l´altro maggior clemenza, e vuole tutte e due assieme, più protezione e più comprensione, più severità e più tolleranza.   

Mi raccontava un amico, a suo tempo carabiniere ausiliario, che una notte avevano inseguito per vari chilometri e ad altissima velocità un´auto la quale non si era fermata all´alt. E s´era arrestata solo quando avevano puntato il mitra fuori dal finestrino. Banditi, ricercati, corrieri della droga? Macché, due cretini in trasferta per lavoro che avevano fretta di tornare dalla famiglia lontana. Li lasciarono andare senza neanche una multa. Ma non è semplice trovare sempre una soluzione giusta, resistere alla pressione per la scelta più facile.  Era una notte senza allarmi in un angolo tranquillo del paese, quella. Ci vuole l´addestramento si dirà, il buonsenso e quello della democrazia, la consapevolezza di sé e degli altri, l´esempio dei capi. La coscienza in fondo. Ma come società quanto ce ne preoccupiamo? Kierkegard scriveva che siamo come una nave sulla quale è il cuoco di bordo a parlare con il megafono del capitano, ma non per dirgli dove andare o che manovre compiere, ma quel che si mangerà. 

Non possiamo giustificare gli errori dei servitori in armi dello Stato, sia chiaro, né dobbiamo permettere che diventino sceriffi da Far West, o vendicatori della società. Ma non dimentichiamo nemmeno che sono anche loro su questa nostra barca e non sfuggono alla comune nostra condizione.


25/07/2000