Università Cattolica del Sacro Cuore

Una grande diplomazia al servizio della libertà

E´comparso nei giorni scorsi, e verrà presentato anche a Milano venerdì prossimo presso l´Università Cattolica, un volume che raccoglie le memorie del cardinal Agostino Casaroli, dal principio degli anni Sessanta fino al 1990, in varie vesti l´uomo che più di ogni altro ha seguito i rapporti della Chiesa cattolica con i Paesi comunisti europei dai tempi della guerra fredda fino al crollo dei regimi filosovietici. Si tratta di un testo straordinario, come straordinario doveva essere l´uomo, per qualità umane e di fede. È difficile infatti seguire le vicende che egli narra, spesso penosissime per l´ostilità di governi defatiganti nelle trattative e animati da rancore per una realtà che loro sfuggiva, così come per la miserevole condizione della Chiesa e dei cristiani con i quali l´inviato pontificio veniva in contatto, è difficile dicevo seguirle senza commozione. Tanto più per lo stile sempre piano e discreto con il quale fatti e uomini vengono ricordati. 

Certi ritratti balzano così fuori potentissimi proprio per il modo spoglio e antiretorico con il quale vengono tratteggiati, si tratti del cardinale ungherese Mindszenty che «dava l´impressione d´una lama d´acciaio, inflessibile, pronta allo scontro senza esclusione di colpi con una realtà ugualmente determinata anch´essa a non lasciarsi piegare» o dell´arcivescovo di Praga monsignor Beran, che dopo quattordici anni di assoluto isolamento e contro le umane previsioni di Casaroli che si aspettava un uomo ragionevolmente piegato e amareggiato, «trasudava quasi serenità e letizia, il volto illuminato da un largo sorriso», un uomo che «sotto un aspetto mite e gentile possedeva una forza di carattere che gli permise di sopportare prigione e confino sotto i nazisti e sotto i comunisti per gran parte della sua vita» e rispetto al quale, scrive Casaroli con il suo stile trattenuto, «il regime ebbe il dispiacere di doversi rendere conto che non era tanto facile da piegare».

O si tratti infine del ritratto collettivo della minuscola comunità cattolica bulgara, «stremata, impoverita, priva di ogni considerazione sociale, quasi disprezzata», ma «nella sua piccolezza... ancora vivace e piena di serena dignità». Che non può non richiamare la descrizione biblica dell´arbusto nato su terra arida, che non ha alcuna bellezza eppure è l´immagine di Cristo. 

Già, perché queste memorie si possono leggere utilmente, e oserei dire molto piacevolmente, da parte di laici e cattolici come ricordo di una grande avventura diplomatica, o come testimonianza sociologica di prima mano da parte di un osservatore d´eccezione delle società dell´Est nei decenni di una lunga crisi dapprima impercettibile e poi sempre più profonda ma dall´andamento mai scontato, si possono leggere come documento per la storia della Chiesa, quella di là della Cortina di Ferro ma anche quella vaticana, della curia e dei Papi nelle loro diverse personalità e modi di operare e vivere la propria missione (e evidente è l´affetto profondo di Casaroli per Giovanni XXIII, senza nulla togliere chiaramente al rispetto e all´ammirazione per gli altri con cui egli ha collaborato), si possono leggere per le loro qualità letterarie: memorabile il passo in cui Casaroli racconta del momento in cui si trova per la prima volta, ripartita la macchina che l´ha accompagnato da Vienna al confine ungherese, solo di fronte alla sua missione e a un mondo sconosciuto, ma soprattutto si possono leggere, e apprezzare fino in fondo, assumendone un´altra qualità. Quella che le rende per certi versi incomparabili con ogni altra memoria politica di quegli anni. 

Casaroli narra in prima persona, racconta ciò che ha fatto, i successi e le sconfitte, le sue impressioni e sentimenti, eppure mi sembra che nella sua scrittura quell´«io» che dovrebbe risultare così tanto ingombrante finisca quasi per scomparire. Egli dice «io» ma per narrare attraverso le sue azioni i prodigi che Dio ha compiuto e di cui egli è stato strumento e testimone molto più che orgoglioso artefice. Si prendano le memorie di Kissinger come Segretario di Stato americano e le si confrontino con queste. Si misurerà l´egocentrismo superbo e vanitoso di quello che pure fu un grande politico con la stupita, e grata, consapevolezza che «grandi cose ha fatto l´Onnipotente» dei ricordi di Casaroli.

Egli cita a un certo punto il salmista quando dice «chi semina nelle lacrime mieterà nel giubilo» ricordando la visita del Papa in Cecoslovacchia nel 1990 e mettendo a confronto la festa di popolo che essa rappresentò con il ricordo del lungo cammino percorso dal 1963 e con le date del calvario dei cattolici cecoslovacchi, e se pure giudiziosamente si chieda se la nuova stagione sarebbe stata tutta di giubilo, non pare dubbio che a lui sia toccata la straordinaria grazia di veder concludersi un´età di rovina e dramma che pareva non dover mai finire e, più fortunato di altri, vittime e testimoni della fede in un lungo quarantennio, non dover meditare soprattutto sul fatto che altri semina e altri raccoglie. Ma, di nuovo, non vi è nelle sue memorie nessun orgoglio, né alcuna rivincita retrospettiva, non è il cristianesimo di Lattanzio quando scriveva di come morirono i persecutori il suo, bensì, ancora una volta e soprattutto, quello giovanneo che abbraccia tutti nella speranza della fede e guarda con pietà anche agli oppressori. 

In questa prospettiva le memorie di Casaroli costituiscono, mi sembra, un´eccezionale memoria della fede del XX secolo, dicono di un modo alto di viverla e della cultura religiosa che l´innervava, testimoniano - ed è un ultimo loro merito e motivo per la lettura - della tensione spirituale specifica che poteva percorrere l´altissimo clero romano messo a confronto con una delle prove, culturali e di senso, più forti e drammatiche degli ultimi secoli.


28/06/2000