- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2000
- Via ai cicli scolastici, una riforma calata dall'alto
Via ai cicli scolastici, una riforma calata dall'alto
Malgrado ogni perplessità il Governo ha ritenuto di confermare le linee della riforma dei cicli scolastici annunciate ormai parecchio tempo fa. I punti qualificanti del nuovo disegno sono sostanzialmente due: la fine della distinzione fra scuola elementare e media - inscritte ora in un´unica scuola di base di sette anni - e la riduzione delle superiori a cinque indirizzi, tutti qualificati come licei, divisi in un biennio - entro il quale dovrebbe essere possibile transitare da un indirizzo all´altro - e un triennio di approfondimento specialistico.
Per certi versi la riforma era inevitabile. Particolarmente pesante era infatti l´ambiguità della scuola media come l´aveva disegnata la riforma del principio degli anni Sessanta lasciandola incerta sulla sua vocazione: se essere scuola nella quale far prevalere le esigenze di acculturazione primaria e di socializzazione dei ragazzi, o essere invece scuola già ricca di contenuti specifici propedeutici alle superiori. L´elevamento dell´obbligo a 15 anni stabilito qualche anno fa risolve implicitamente questa ambiguità e la riforma coerentemente attrae elementari e medie, ma riducendole di un anno, nella nuova scuola di base.
Questo però apre altri problemi. Elimina infatti la specificità della scuola elementare, che era una delle migliori in Europa, sia dalla parte degli insegnanti sia da quella degli alunni. È vero che in prospettiva i maestri saranno tutti laureati e quindi con una formazione più coerente con quella degli attuali professori delle medie, ma il problema cruciale è come si moduleranno i programmi e le scelte pedagogiche lungo un percorso che va ininterrottamente - e senza, presumibilmente, variazioni di metodo - dall´infanzia alla preadolescenza. Amalgamare l´esperienza pratica e le prospettive delle due scuole riunite non sarà facile e si può temere che una riforma nata così dall´alto e senza una robusta riflessione metodologica scarichi gran parte dei problemi e delle soluzioni sulle spalle degli insegnanti, magari beffandoli con qualche ipocrita richiamo alla loro autonomia. Una maggiore ponderazione delle esperienze straniere in proposito avrebbe dovuto invitare a maggior cautela e preparazione.
Lo stesso si può dire per le superiori in cui si entrerà un anno prima. Qui l´ambiguità maggiore, a quanto si può capire non risolta, è quella della formazione professionale, capace o meno di completare l´obbligo. C´è qualcosa in proposito nella legge ma è troppo poco. Il rischio è allora di intasare il biennio di qualche indirizzo con ragazzi che vi restano parcheggiati per uno o due anni in attesa soltanto di essere liberati, per così dire, dalla scuola stessa.
È chiaro infatti che vi saranno indirizzi i quali - approfittando anche della prevista possibilità di passaggio da un indirizzo all´altro, o bocciando o in altro modo dissuadendo dal proseguire - scaricheranno sui bienni degli indirizzi considerati culturalmente più deboli l´onere di gestire i casi difficili. Non bisogna essere indovini per prevedere che la formazione del futuro liceo tecnico-tecnologico (l´ex istituto tecnico per intenderci) ne soffrirà. Ma qui si paga il giacobinismo del ministro che vuol tenere dentro la scuola di Stato i ragazzi più che sia possibile, anche contro i loro interessi. In generale poi il quinquennio non appare molto innovativo, ripetendo il vecchio sotto nuovi nomi. Sacrificato sembra il liceo linguistico che per altro non era mai davvero decollato. Ma molto dipenderà anche da come si struttureranno concretamente i programmi, e a questo proposito si deve lamentare la scelta di dare in proposito mano libera al ministro impedendo nei fatti un dibattito ampio e che coinvolga insegnanti e famiglie.
Ogni giudizio è oggi forzatamente provvisorio proprio perché molto dipenderà da come saranno riempiti di contenuti questi indirizzi. Certo, se si insisterà sul giardinaggio o sul cinema a scapito delle materie tradizionalmente formative nella nostra esperienza culturale saranno guai.
Resta poi la questione della scuola non statale e degli ambiti della sua autonomia rispetto allo schema della riforma, così come quello dell´autonomia effettiva e non per finta dei singoli istituti. E certo il fatto che il Governo abbia congegnato le cose in modo che sia ben difficile disturbare il manovratore, autoobbligatosi a procedere in sei mesi alla stesura del programma di attuazione quinquennale, non è di troppo buon auspicio.
03/02/2000