Università Cattolica del Sacro Cuore

Auguri, il record dei messaggini

C´erano una volta gli auguri di Natale. Cartoncini grondanti neve e renne, oppure più affettuose Natività di ogni scuola ed epoca. Quelli fini spedivano riproduzioni di stampe con particolari della loro città. I più spiritosi, sempre a parer loro, elaborati messaggi, più volte ripiegati, i quali alla fine rivelavano complicate scene tridimensionali. Poi è arrivato il “politically correct” e anche da noi si sono diffusi i “season greetings”, insapori e indolori, adatti a tutti e a nessuno perché la loro interpretazione è lasciata al ricevente: dal Natale al Capodanno, a quel che vuoi tu se non festeggi né l´uno né l´altro.

Retaggio di tempi in cui si usava con molta più parsimonia il telefono, o per il timore economico dell´interurbana o del sospetto di maleducazione d´un augurio troppo confidenziale, i cartoncini però sono ormai quasi una rarità. E soprattutto sono sempre meno personali. Li inviano infatti, in particolare, enti e istituzioni. E la firma, quando c´è, è uno sgorbio rifatto mille volte.

Forse da una precettata segretaria. Fine degli auguri allora. Ma quando mai? Stupite esse stesse, le compagnie telefoniche annunciano che tra Vigilia e Natale sono partiti circa trecento milioni di Sms. In effetti anche al mio cenone della Vigilia, con tutti i parenti, l´avviso sonoro dei messaggi in arrivo ha fatto da discreto sottofondo alle chiacchiere di chi in poche ore recupera anche un anno di lontananza fisica. Ma non erano i nostri, di noi adulti voglio dire, che suonavano.
Erano i telefonini di figli e nipoti.

Delle nipoti soprattutto, a esser sinceri. Già perché cacciati dalla porta gli auguri sono rientrati dalla finestrella del cellulare, e trascurati dagli adulti sono diventati affare dei più giovani. Non solo di loro, è vero, ma soprattutto di loro sì. Com´è complicata la vita. Il pensoso sociologo di turno era già pronto a spiegarci il declino degli auguri postali come sintomo della solitudine di massa o, viceversa, come prova del ripiegarsi sul privato familiare degli italiani incerti di fronte al terzo millennio, ed ecco che tutto va ripensato. Si calcola che ci sia un cellulare ogni due italiani. Togliamo la quota di chi lo usa per lavoro e, come il sottoscritto, dalla Vigilia non l´ha ancora riacceso, non siamo probabilmente lontani dal vero pensando che da ogni telefonino attivo siano partiti una quindicina di messaggi. E altrettanti ciascuno ne abbia ricevuti. Altro che solitudine, altro che piccolo cerchio familiare.

Questo è un turbinio di affetti e di pensieri senza centro e senza limite, un vortice telematico di auguri d´ogni intenzione e genere. E poiché il “messaggino” è per sua natura effimero e puntuale, non vi è dubbio che a fine anno andrà in scena la replica per gli auguri di capodanno. Il che significa che quelli spediti nei giorni scorsi in qualche modo avevano a che fare proprio con il Natale, con quel Gesù bambino tra Maria e Giuseppe al freddo e al gelo, come canta la canzone, e con tutto quello che il “pargol divino”, il “mite agnello redentor” evoca.

Per carità, collegare la valanga degli Sms con la fede religiosa è senz´altro improprio. Non invitavano a esser “laeti”, neppure “triumphantes”, né a osservare il “regem angelorum” tutti quei messaggini. Ma con la nostalgia almeno di quel messaggio universale che non ha avuto bisogno né di Wind né di Telecom, o di qualunque altra concorrente, per arrivare dappertutto, credo che sì, in qualche modo avessero a che fare. Persino forse senza che quelli che li hanno spediti se ne rendessero ben conto. Ma hanno tanto tempo e occasioni, il buon Dio invece nessuna fretta. E allora, ma sì, via, la prossima volta digitiamo un faccino sorridente anche per Gesù.

27/12/2001