- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2001
- D´Alema sbaglia, il buono scuola è buona cosa
D´Alema sbaglia, il buono scuola è buona cosa
In una intervista che sta per uscire su “Famiglia cristiana”, Massimo D´Alema interviene su vari temi di rilievo. Riguardo ad aborto ed eutanasia le sue posizioni sono abbastanza prevedibili e anche quando non accettabili, come sull´aborto - pur sempre scelta di libertà se pur disvalore, a suo parere -, dimostrano come anche la coscienza cosiddetta laica si sia evoluta nel tempo e si sia resa conto di come nemmeno la libertà possa essere un valore assoluto da rivendicare in faccia alla società. Un´apertura di umiltà che a prima vista sembra di ritrovare anche riguardo all´argomento scuola.
Che un D´Alema tema la perdita di influenza del mondo cattolico nella scuola stessa perché ci renderebbe meno comunità, che veda nel patrimonio di valori del cattolicesimo e della Chiesa un fattore coesivo dell´unità nazionale, non può che colpire positivamente. Soprattutto se si pensa ai tuttora diffusi giudizi negativi sulla tradizione cattolica vista come quella che ha impedito la vera modernizzazione del Paese, alla contrapposizione fra l´élite illuminata e le masse perennemente obnubilate dall´oscurantismo clericale.
Verrebbe da sperare che a tanto impegnative considerazioni seguissero revisioni meno estemporanee, che a esempio la fondazione “Italianieuropei” promossa dallo stesso D´Alema se ne facesse attrice in prima persona, combattendo l´intolleranza laicista di tanta parte della cultura, la quale copre oggi dietro un liberalismo di facciata interpretazioni francamente anticlericali della storia. Anche perché questo aggrapparsi a stracchi stereotipi di risorgimentale memoria, oltre che stravolgere la complessità stessa del Risorgimento, ci impedisce di fare i conti con la realtà del presente, con la necessità di ripensare fuori dai termini usuali il rapporto fra Stato e società, fra soggetti plurali e disseminazione dei poteri, crisi della sovranità statale e urgente rinnovamento dei modi e contenuti della cittadinanza.
È insomma autenticamente reazionario. E però sembra che al fondo lo stesso D´Alema non riesca a sottrarsi a questo rischio. Egli se la prende infatti con il buono scuola lamentando che la sua possibile diffusione, e il sostegno che le dà la Chiesa, possa condurre a una frammentazione del Paese, all´isolamento dei gruppi sociali secondo discrimini etnici, ideologici o religiosi, con la scuola dei musulmani e quella dei buddisti, e aggiungiamo noi dei laici laicisti o dei veterocomunisti, così che alla fine i cattolici invece di svolgere una benigna influenza su tutto il Paese si limiterebbero ad essere la più forte delle minoranze.
Virtuosamente D´Alema avanza allora lo spettro della balcanizzazione dell´Italia, la quale, tanto per cambiare, sarebbe ancora una volta, e come sempre, il frutto avvelenato della presenza della Chiesa in Italia. Ma perché il buono scuola deve essere visto come un elemento di disgregazione e non come uno strumento per favorire la crescita, via di confronto e “competizione” della scuola pubblica stessa? Non si è appena affermato nella riforma il principio dell´autonomia delle singole scuole pubbliche, non le si è invitate a gareggiare fra di loro e a dimostrarsi flessibili rispetto alle specifiche esigenze del territorio in cui si trovano? Perché gli italiani i quali finora si sono dimostrati tanto affezionati alla scuola pubblica dovrebbero distaccarsene per cercare una omogeneità di qualche genere altrove? C
i sarebbe una sola ragione per farlo: se le scuole private funzionassero meglio di quelle pubbliche, se offrissero qualcosa che le pubbliche non dessero. Ridurre la propensione alla diffusione del buono scuola a mera questione di parrocchietta significa non vedere che la Chiesa ne fa piuttosto una questione di libertà da sviluppare e articolare in modo da far fronte ai mutamenti sociali intervenuti, al fatto che la cittadinanza è ormai una scelta da motivare consapevolmente, non un obbligo irriflesso che lo Stato vorrebbe imporre come ai bei tempi delle certezze ideologiche del progresso e della pubblica felicità. Con gli occhi volti al passato, con un atteggiamento reazionario non si affrontano i problemi del presente, e tanto peggio va se, ciò facendo, ci si crede anche di sinistra.
19/04/2001