Università Cattolica del Sacro Cuore

Diritto e laicità dello Stato

Nei giorni scorsi l´ex presidente Cossiga a più riprese ha insistito sul fatto che se vogliamo esser davvero fedeli ai valori, liberali come egli dice, della nostra cultura non possiamo non rispettare quelli diversi dei musulmani portando l´esempio della poligamia, del ripudio e della giuridica superiorità del marito sulla moglie nel matrimonio che egli trova come istituzioni primordiali e fondanti della religione islamica. Dovremmo dunque riconoscerli e tutelarli nel nostro ordinamento giuridico.

Rimane il sospetto che così scrivendo egli abbia in verità voluto portare all´estremo una provocazione intellettuale che obblighi a riflettere fino in fondo su temi lasciati altrimenti nella mezz´aria di un buonismo irriflessivo o di una reazione istintiva e tinta di razzismo. In effetti già considerando il fatto che esistono paesi musulmani, come la Tunisia, in cui la poligamia è vietata e i rapporti matrimoniali disciplinati in modo da tutelare anche la donna, si comprende come siano paradossali nella forma, e infondati nella sostanza, gli argomenti “essenzialisti” avanzati da Cossiga. E non può non saperlo egli stesso. Tuttavia la provocazione va accolta non tanto per quel che riguarda gli altri, ma noi stessi, i nostri principi alla prova della diversità.

Notiamo innanzitutto che la pressoché completa parità giuridica fra uomo e donna si è raggiunta, anche nel mondo occidentale formato dall´eredità classica e da quella giudaicocristiana, soltanto in tempi recentissimi, tanto sul piano pubblico (il diritto di voto ad esempio), quanto su quello dei rapporti privati ( in Italia con il cosiddetto nuovo diritto di famiglia). Evitiamo dunque trionfalismi e ipocrisie a nostro favore.

La nostra attuale condizione è il frutto di una evoluzione travagliata e di una presa di coscienza che non è stata né facile, né indolore. E però proprio per questo essa esprime dei risultati ai quali non possiamo porre eccezioni a pena di mettere in dubbio la nostra stessa civiltà. Riconoscere poligamia, ripudio e così via, significherebbe infatti accettare che esista, per noi, la possibilità di soggetti adulti e responsabili con ridotta capacità giuridica a parità di ogni altra condizione.

Ma ammesso questo per le donne musulmane, non si vede perché domani non per altre categorie: gli ebrei? Gli omosessuali? I dissidenti politici? I sardi? Gli stupidi? Né vale richiamarsi al valore fondante l´identità individuale proprio della religione. Anche su questo piano ammettere un´eccezione per i musulmani significherebbe travolgere quei valori liberali cui lo stesso Cossiga si richiama e che nel confronto con il medesimo mondo cattolico sono stati affinati via via, superando clericalismo e anticlericalismo e permettendo a tutti di ritrovarsi nel valore della laicità. Ovvero nella distinzione fra ordine della politica e fede religiosa, fra città dell´uomo e città di Dio, per citare con qualche semplificazione Sant´Agostino.

L´ordine terreno ha saputo rinunciare nei sistemi democratici ad essere l´orizzonte ultimo dell´uomo, in cambio si è costituito come spazio di garanzia e di incontro e collaborazione minima ma necessaria fra gli uomini, indipendentemente anche dalle loro credenze religiose, e pur rispettandole e considerandone le esigenze, anche grazie allo strumento eventuale dei concordati.

Ammettere un fondamento religioso per l´ordine politico significherebbe, di nuovo, creare disuguaglianze, e porre le premesse per rinnegare quella stessa tolleranza reciproca cui in apparenza si crede di rendere omaggio. Così quando la Santa Sede e il cardinal Casaroli si impegnarono a fondo perché si arrivasse nel quadro dei rapporti Est-Ovest alla dichiarazione di Helsinki del 1975 sui diritti dell´uomo non stavano tradendo la fede, né pensavano di offendere quella di alcun altro evidentemente. Cercavano una piattaforma di libertà e di rispetto capace di garantire tutti.

E rinunciando alla quale con l´idea di esprimere una superiore visione illuminata si afferma invece un sottile ma profondo disprezzo per coloro che non si crede degni di meritare di esser trattati esattamente come noi.

13/11/2001