Università Cattolica del Sacro Cuore

E nella campagna elettorale irrompe la cultura

Finalmente la cultura entra in campagna elettorale. E non alla vecchia maniera, degli appelli degli intellettuali organici, ormai non si saprebbe a chi e che cosa, nemmeno a quella più recente dei mortadella boys prodiani, così autoproclamatisi con eccesso di sprezzatura, e conseguente affettazione, a mettere in non cale cattedre e carriere accademiche di cui sono in realtà orgogliosissimi.

Pensate allora che si discuta finalmente di progetti culturali su cui orientare le scelte di governo future, o che magari la scuola sia divenuta oggetto di autentico interesse? Ma no, no, qui si mira al sodo, si contano i laureati, e Berlusconi, fatti i conti, boccia da Londra quegli asini della sinistra che gli studi li hanno finiti, e dottori mai sono diventati. Uno come lui che di lauree ne ha pure una honoris causa e tutti i giorni deve sentirsi rinfacciare dalla sinistra chic l´incultura della sua coalizione, si è giustamente risentito, e ha fatto tirar fuori gli scheletri dall´armadio: D´Alema era sì alla Normale di Pisa, però in fondo non è arrivato. Così Rutelli aspirante architetto. O Veltroni che ha fatto qualcosa come l´istituto tecnico per il cinema.

È vero che dalla sua c´è Bossi, il quale in medicina non si è laureato nemmeno lui. Ma aveva tanta passione e ardore da convincere per molto tempo gli altri del contrario, e a un Presidente operaio e compassionevole degli ultimi la buona volontà spezza il cuore, e fa perdonare tutto. E certo il rapporto con la cultura per i politici è sempre stato un problema. Son passati sessant´anni e ancora si ricorda la mussoliniana confusione fra bagnasciuga e battigia, come nella mia città ancora si ride di quel gerarca che inaugurando le nuove case minime opera del regime, le proclamava solennemente “pavimentate e tettate”. È vero che allora i dottori erano ancora merce rara, e che Einaudi nel 1919 aveva lamentato come i professori universitari stessero per superare il numero di mille, sottraendo energie alle professioni.

Oggi anche loro sono qualcosa come cinquantamila e non meraviglia se qualche ignorante s´è infilato nel mazzo. Come quel collega, ahime!, che ha scritto d´un tale nato sulle colline di Recanati, che fanno da corollario all´Adriatico” e pure che lo zar mangiava “vettovaglie d´argento”. Adesso ha fatto carriera mi dicono, ed è pure preside. E allora, perché gettar la croce addosso ai non laureati? Forse che il dottor Di Pietro articola il suo eloquio meglio di D´Alema? È vero, nessuno di quelli di sinistra sotto tiro vorrà rivendicare questa volta l´antica saggezza nazionalpopolare, per la quale “è meglio un asino vivo che un dottore morto”. Politici di lungo corso potranno però ricordare come per la stessa valga più la pratica che la grammatica.

Adesso sembrano dirlo persino i nuovi programmi della scuola di base, e se è d´accordo il professor De Mauro, vanto dell´università italiana, chi li potrà smentire? E però, è inutile nasconderselo: quello della laurea e per estensione della cultura è un tasto dolente per i nostri. Piuttosto che condurre, come quel responsabile commerciale di una prestigiosa casa editrice di cultura mai laureatosi, una battaglia per farsi riconoscere in azienda il “signor” al posto del “dottor”, preferiscono infatti rilanciare. Come Rutelli che si chiede se Berlusconi sappia l´inglese. Prodi andò alla trasmissione de “La zingara”. Sembrò il massimo del minimo. Vedremo invece i nostri eroi sfidarsi al “Quiz show”?

19/02/2001