- Milano
- Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
- Carte Mozzarelli
- 2001
- Gesto sospetto: cercano solo di farsi pubblicità
Gesto sospetto: cercano solo di farsi pubblicità
Sta destando scandalo l´accanimento dei talebani afgani, gli “studenti di Dio”, nel distruggere due antichissime statue del Buddha scolpite nella roccia. Quello che si sarebbe potuto fare agevolmente con qualche carica di dinamite viene perseguito molto meno efficacemente a cannonate e mitragliate, e quel che si sarebbe potuto compiere in silenzio viene invece ossessivamente propagandato a beneficio del pubblico internazionale. Al di là delle ragioni religiose che i talebani avanzano solo ora, dopo che per anni le statue sono rimaste sotto il loro controllo e nessuno fra di essi se n´è preoccupato più di tanto, non si può perciò non cogliere nel gesto una evidente volontà pubblicitaria, la ricerca dello scandalo, di un modo per ritornare sulla prime pagine dei giornali e delle televisioni, per dimostrare di esistere ancora e di contare.
A beneficio di chi questo show venga poi messo in atto si può discutere: per ricattare l´Occidente, o per mettere sotto pressione i governi dei paesi islamici ergendosi a esempio e maestri di purezza e radicalità religiosa, oppure anche per ricompattare con un´azione estrema un vertice diviso; tutto è possibile e una motivazione non esclude l´altra. Rimane il fatto che, in ogni caso, l´operazione funziona soltanto in un contesto mediatico.
E questa è la vera novità. Prendersela coi Buddha in un paese dove buddisti non ce ne sono significa infatti non muoversi contro degli avversari reali (o pensati come tali) da umiliare nei loro simboli, e ragionare così in termini di scontro sociale o religioso come sempre era accaduto nei fenomeni di iconoclastia. Non che in passato sia mancata l´esibizione dei vandalismi, ma non era sempre necessaria. Dipendeva dai contesti. Talvolta poteva esser più utile nascondere quel che si faceva: i cinesi che hanno devastato il Tibet sono infastiditi da chi ne esibisca le prove. Così come in Occidente si è preferito chiudere gli occhi per molto tempo sulle prodezze delle guardie rosse contro tutto ciò che rappresentava la cultura tradizionale cinese. Nel caso dei talebani invece senza un pubblico chiamato ad assistere via mass media nemmeno ci sarebbe il fatto. Davvero il mezzo è il messaggio, e reale è soltanto ciò che può esistere in televisione.
A suo modo già l´aveva capito la mafia una decina d´anni fa quando compì i tre attentati contro una chiesa a Roma, la torre dove stava l´Accademia dei Georgofili a Firenze, il Padiglione d´arte contemporanea a Milano. Ci furono dei morti, ma non erano quegli innocenti l´obiettivo. Era dimostrare pubblicamente la propria alterità rispetto a ogni valore di convivenza civile, fede, storia, arte. Era terrorismo assoluto, messa in scena della ferocia per la ferocia, negazione all´avversario d´ogni possibile terreno d´intesa, così come ora per una platea mondiale la distruzione dei Buddha. In questo senso non credo si possa dire che siamo stati tutti una volta o l´altra nella nostra storia talebani come pure è stato brillantemente argomentato. I talebani sono senza dubbio figli della modernità, e anzi addirittura postmoderni nel loro uso dei media, ma di quella modernità che affascinata dal fenomeno del potere ha creduto che esistessero soltanto la forza e la paura a motivare lo stare dell´uomo in società.
La modernità di un pensatore come Schmitt, teorico della contrapposizione assoluta fra amico e nemico e del nazismo - non a caso l´unico regime che ha potuto pensare a qualcun altro da sé (l´ebreo) in termini di genocidio, mentre persino quelli comunisti più sanguinari si sono fatti velo allo sterminio degli avversari con una volontà rifiutata di rieducazione -. Una modernità che ha fallito, grazie al cielo, e fallito assolutamente, e per la quale poca speranza si offre ai talebani. Non si tratta di assolverci dai nostri peccati di iconoclastia così dicendo, ma sottolineare che c´è dell´altro nella nostra tradizione. Soprattutto un principio di speranza in una postmodernità che non si riduce a quella degli studenti islamici di Kabul, o alle allucinate previsioni di un mondo orwelliano da “1984” e all´angoscia del volto comunque demoniaco del potere.
04/03/2001