Università Cattolica del Sacro Cuore

Il Cristianesimo e i ragazzi di don Giussani

Un giorno, nella prima metà degli anni ´60, andai nella mia piccola città a un incontro che qualcuno aveva organizzato chiamandolo raggio. Non ne sapevo nulla, ma abituato allo stile élitario e spiritualista del gruppo scout di cui facevo parte - e che era del tutto peculiare nello stesso scoutismo - lo trovai popolare e confuso; c´erano persino delle ragazze! Decisi che non faceva per me, e non ci fu una seconda volta. Ma avendo trovato nel volume di Massimo Camisasca Comunione e Liberazione.

Le origini (1954 - 1968) (ed. San Paolo) cenno a un duro attacco al movimento di Gioventù studentesca, come allora si chiamava, da parte di don Ghetti, uno dei personaggi più importanti e amati dello scoutismo milanese di quegli anni, mi vien da pensare che avevo comunque ben interpretato la mia parte di piccolo militante in un´altra squadra. E a distanza di tanti anni ciò non può che farmi sorridere.

Lo scoutismo, rinato pubblicamente dopo la guerra, era stato in realtà la prima alternativa, dentro il mondo cattolico, all´egemonia dell´Azione cattolica nella formazione dei giovani, non solo sul piano pratico ma su quello del modo di vivere l´essere cristiani. Aveva insomma anticipato la stagione dei movimenti di cui don Giussani e la sua Gs sarebbero stati parte così importante. In effetti un´Azione cattolica organizzata per rispondere alle alternative totalitarie del regime fascista prima e della sinistra stalinista poi, già negli anni ´50 cominciava a faticare a confrontarsi con le proposte diversamente insidiose di un laicismo individualista, che si voleva colto, illuminato e tollerante, e il quale, quand´anche politicamente integrato nei partiti della sinistra, guardava con condiscendenza alle masse popolari e ai riti della militanza. Ed era espressione di una borghesia urbana già sfiorata dalle trasformazioni sociali ed economiche dell´Italia che si avviava al boom economico, allo sviluppo del terziario, alla grande trasformazione antropologica del nostro paese fuori dalle forme e gerarchie consolidate, tra le quali stava la stessa presenza e preminenza della chiesa come istituzione.

Si comprende in questo senso come Milano sia stata il luogo in cui dalla passione di un prete che insegnava al liceo Berchet sia potuta nascere un´esperienza che si è sviluppata poi in tutt´Italia e all´estero come quella di Comunione e liberazione, nel libro ricostruita per il periodo che si chiude con la crisi del Sessantotto. Essa infatti, con la sua proposta di un cristianesimo come esperienza vitale, e dunque per tutti ma di ciascuno, di incontro con Cristo nella storia piuttosto che come sistema di pensiero da cui deduttivamente far discendere comportamenti e organizzazioni, proponeva un´alternativa radicale a quello scetticismo illuministico contro cui poco potevano le argomentazioni razionaliste e le proposte garantite da una precondizione di cattolicesimo diffuso e sociologico dell´Azione cattolica di quegli anni, e le quali inevitabilmente finivano per infrangersi contro il pilatesco “che cos´è la verità?”, e l´esaltazione della ricerca “umanista” come fine in se stessa.

La proposta di Gioventù Studentesca per contro obbligava l´interlocutore a dichiararsi, chiamandolo su un terreno esperienziale ove non era possibile accontentarsi di un dubbio metodico. Corrispondeva poi quella nuova impostazione al presentimento di un´altra crisi, quella della politica come luogo obbligatoriamente riassuntivo dell´agire collettivo - e dunque anche del partito cattolico come tale - a favore di una attenzione, e intervento e responsabilità, “dal basso” e diffusa e dispersa sul territorio, nell´ambiente come pure si poteva dire, alle sempre crescenti articolazioni della società.

Dall´interpretare le esigenze che stavano affiorando nel mondo giovanile venne dunque la crescita impetuosa del movimento, che già alla fine degli anni ´50 non era più solo milanese, contava migliaia di aderenti, e aveva trovato un proprio stile e metodo, nella preghiera come nell´attività caritativa e nei modi dello stare insieme. E aveva altresì elaborato una capacità di presenza e di proposta le quali gli permettevano sia di proporsi pubblicamente, sia di esprimere un coerente punto di vista critico sulle iniziative altrui. Può valer per tutte in questo senso la ricostruzione nel libro della polemica condotta contro quel mostro sacro della cultura milanese che fu Strelher e le sue scelte nella conduzione del Piccolo Teatro, individuandone per tempo gli aspetti più smaccatamente ideologici, e caduchi - ma è facile dirlo oggi, molto meno lo era allora.

Come risulta da molti elementi raccolti nel volume ciò che sconcertava, o francamente irritava, di queste critiche e proposte alternative era che venivano fatte senza alcun complesso di inferiorità nei confronti d´un mondo laico il quale rivendicando per sé il ruolo di portatore del progresso tendeva a ricattare, per così dire, gli interlocutori minacciando di bollarli come attardati reazionari in caso di non acquiescenza.

Mostrando la ricchezza vitale che poteva avere una proposta cristiana nella quale, come ricorda un testimone del tempo “non c´era un aspetto particolare, come la cultura, l´arte, la carità, ma la sottolineatura di un centro cui tutto si collegava”, si sfuggiva però al corto circuito fra perbenismo e devozione, ci si svincolava dai limiti culturali del cattolicesimo italiano del tempo, si aveva la forza di proporre modelli alternativi nel vivere entro una società in rapido mutamento. E ne veniva una ricostruzione complessivamente alternativa del senso della storia e dell´identità collettiva. Si pensi, anche qui per accenni e seguendo le suggestioni del volume, al precoce recupero di Caravaggio, come pittore morale, interessato a mostrare la miseria della condizione umana per suggerire la sovrabbondanza della grazia divina, piuttosto che come espressione di mero naturalismo, o di Leopardi, un altro degli autori più spesso evocati da don Giussani come il libro ricorda, quale inesausto ricercatore di senso oltre le ipotesi del poeta materialista che andavano allora per la maggiore.

Che la proposta fosse originale e forte lo provavano d´altro canto le perplessità che suscitava in molti, entro la chiesa stessa, persino sul piano dei comportamenti. Oggi, ancora una volta, è facile sorriderne, ma negli anni ´50 la coeducazione praticata in Gs appariva novità rischiosa - gli scouts stessi erano rigidamente divisi in Asci maschile e Agi femminile - e tale da suggerire, come il libro ricorda, inviti ufficiali alla prudenza da parte della gerarchia ecclesiastica. Un movimento che sollecitava così fortemente alla fede come impegno esistenziale, compimento dell´umanità, non poteva che venire squassato dal Sessantotto e da un differente cortocircuito. Quello fra impegno sociale e politico da un lato e senso della propria storia di fede dall´altro.

Proprio la generosità di sé senza risparmio, la integralità della scelta cristiana sembravano esigere in un momento che pareva eccezionale un proprio ineluttabile compimento nella storia attraverso l´adesione a un´ideologia, quella marxista, la quale pareva garantire una scelta di campo liberatoria a favore degli ultimi e contro il potere. Il tempo si sarebbe incaricato di smentire tali generose illusioni, e di mostrare la povertà propositiva di una simile prospettiva, e tuttavia essa apparve allora proprio a molti che dentro il mondo cattolico più erano impegnati in una ricerca personale, quasi irresistibile, e il non accettarla un atto di viltà. Come l´autore ricorda anche Gs ne venne ridotta “allo stremo”, e obbligata a far dei conti dolorosi sia sul piano dei rapporti personali che su quello pratico e progettuale.

La storia che ne sarebbe seguita, in cui il nome stesso di Gs sarebbe scomparso, l´avrebbe provato. E cronologicamente su questo punto di crisi il libro si chiude. Chi vi avesse cercato maliziose rivelazioni di retroscena curiali o all´opposto una memoria elusiva nel segno di un facile buonismo, o ancora la commemorazione reducistica ne sarà rimasto deluso. Infatti, una volta depurata dalle animosità personali, che vi furono, appare chiaro come la storia degli incoraggiamenti e contrasti che l´impostazione di don Giussani incontrò nel mondo cattolico, così come il sospetto con cui da quello laico si guardò a questi nuovi cattolici, esprimevano un legittimo conflitto di prospettive e di interpretazioni sul futuro della nostra società, e sul senso dell´essere cristiani in essa, piuttosto che meschini timori di concorrenza o superficiali distanze politiche.

Pare dunque oltremodo utile che si sia messo mano organicamente a tale storia anche per contribuire alla ricostruzione complessiva della nostra “grande trasformazione”. Non foss´altro per questo il libro va letto anche da chi non sia stato personalmente coinvolto nella vicenda, comunque abbastanza straordinaria, che narra. Don Camisasca, testimone privilegiato e partecipe, ce ne offre una prima ricostruzione organica. Ha potuto avvalersi dell´archivio di Cl e di qualche altra fonte inedita.

Molto si potrà ancora scavare e trovare, ma il libro costituisce già così una fonte importante e un documento di rilievo. Attendiamo il seguito, e speriamo che stimoli ricerche consimili, e altrettanto coraggiose, su altri movimenti, tanto del mondo cattolico che di quello laico.


30/05/2001