Università Cattolica del Sacro Cuore

Il Grande Fiume fra miti e veleni

Quest´inverno chi era salito sull´argine aveva visto di là, larga come un lago, ma scura e in movimento, una fiumana torbida e violenta, incontrollabile e che faceva paura. Era il Po della piena e dell´alluvione d´altra parte. E infatti adesso è tutto diverso.

Il cielo quasi bianco dal calore, l´umidità che rallenta i movimenti, la boschina sulla riva allora mezza sommersa anche adesso inavvicinabile, ma solo per le zanzare a centinaia. E dall´argine il fiume giù, distante, che scorre lento e pacifico, non fosse per i sospetti mulinelli alla superficie, tra pennelli di sassi e cemento tutti emersi che frangono e indirizzano la corrente, spiaggione candide dall´altra parte, lanche d´acqua morta dietro gli uni e le altre.

Persino qualche ombrellone. Però l´acqua è grigia anche adesso, sembra metallica più che fangosa come allora, ma bollosa, schiumosa, mette egualmente a disagio. I verdi dalla Romagna sono appena venuti a Milano, si legge sui giornali, per protestare contro la metropoli senza depuratore che scarica nell´Adriatico i suoi residui, nascondendo in mare i costi del proprio lungo successo.

Hanno ragione, mille volte ragione, però se ci si gira e dall´argine si guarda la campagna ordinatissima, ricchissima, un paesaggio che è opera d´arte, lontano dal quale nessuno che ci sia nato dentro si sentirà mai a casa per quanta poca emozione possa suscitare negli altri, nemmeno in quello vedrà i micidiali scoli delle porcilaie e tutta la chimica che da tanto finisce nel fiume. Sì il Po continua a scorrere, e ciclicamente ad atterrire e attrarre, e il paesaggio è ancora quello che la letteratura ci ha fatto amare, da Bacchelli a Guareschi, quello che Olmi ha appena rievocato nel suo bellissimo “Il mestiere delle armi”, anche se per averlo più vero ha dovuto cercarlo nella Repubblica Ceca; e il fascino del grande fiume continua a produrre miti, padani o per tutti, come Peppone e don Camillo, e pure gli uomini grosso modo sono sempre quelli, ma al tempo stesso differenti.

Come il fiume visto da vicino ci appare diverso da come era e suggerisce comunque disagio, così sembra accadere agli uomini, anche loro più fragili, incapaci di smaltire le scorie del loro vivere. Una ventina d´anni fa o giù di lì, a Varallo un ragazzo uccise i genitori, li nascose nella buca dell´officina e ne denunciò poi la scomparsa. Ci mancavano gli albanesi, e non so se c´era di mezzo un amore adolescente, ma la storia non è tanto diversa da quella di Novi, o di Pietro Maso. Non suscitò però particolare emozione. Niente psicologi, niente allarme sociale, un fattaccio di cronaca locale, brutto e basta.

Neanche quando Doretta Graneris sterminò la famiglia ci si interrogò su di lei, sui genitori e la società, ci si stupì solo della follia. E pure dei morti di piazza o delle vittime del terrorismo d´allora ben poco sappiamo al di là delle ragioni “politiche” del destino che altri scelse per loro. Chi era l´agente Annaruma cui un tubo di ferro, innocuo come un estintore, spappolò il cranio in via Larga a Milano? O Fausto e Iaio, come li si ricorda cancellati dalla memoria collettiva persino i cognomi, ammazzati ancora là, da non si sa chi ma certo per via del loro impegno politico e civile? Oh indubbiamente, erano formidabili quegli anni, e tutti erano più sicuri delle proprie ragioni, e ne bastavano poche.

Mentre adesso non sono mai sufficienti. E tutto prende un altro colore. E forse effettivamente ce l´ha perché, come il fiume, nemmeno noi siamo più in grado di sopportare il molto di veleni che abbiamo accumulato dai tempi che eravamo sicuri di sapere e tanto più, tanto meno ci sentivamo responsabili.

Oggi nemmeno la natura, nemmeno il Grande Fiume può più vivere senza che ce ne prendiamo cura. Una volta era il potere sempre colpevole, ora nessuno è senza colpa, ovvero senza responsabilità. È più difficile vivere, richiede più qualità, e magari proprio quelle più ostiche un tempo, come le piccole virtù della tolleranza e della disponibilità reciproca alla ricerca non di una impossibile pubblica felicità ma di un sempre provvisorio bene comune, e però senza non disinquineremo né natura né cultura.

10/08/2001