Università Cattolica del Sacro Cuore

Insegniamo ai nostri figli a dire grazie

Di fronte al delitto di Novi Ligure noi, la generazione dei padri, ci chiediamo dove abbiamo sbagliato, com´è stato possibile che in una situazione tranquilla da ogni punto di vista, con dei genitori ben presenti e attenti, capaci di offrire anche l´esempio dell´impegno - la mamma era catechista -, sia successo quel che è successo.  

Anche la nostra generazione è stata, a vent´anni, ribelle, come in qualche misura forse tutte le generazioni del tempo della modernità, che contrappone programmaticamente il nuovo al vecchio. Ma non ha ucciso i genitori e i fratelli. La nostra risposta agli adulti fu quella della fuga e della contestazione di quel mondo, la pretesa di costruire ad esso una alternativa, vuoi nella politica, vuoi nei comportamenti privati, vuoi nelle scelte esistenziali. Chiunque sia stato giovane negli anni Sessanta e Settanta ha ritenuto in mille forme diverse di poter accusare il mondo degli adulti di grettezza ed egoismo, ha cercato di rivendicare il proprio esser migliore perché diverso, forse solo con una canzone, o con un di più di serietà e moralismo, col rifiuto della propria condizione sociale, oppure anche cercando l´altrove nel viaggio verso Oriente, nella coppia aperta e nella vita delle comuni, nella droga come esperienza che avrebbe aperto la coscienza.  

Poi ha scoperto il disinganno, ha dovuto constatare che l´altrove assoluto non esiste e che il mondo è molto più complicato di quel che si credeva. E talvolta ha portato questa constatazione fino al cinismo, abbracciando disinvoltamente comportamenti e idee fino al giorno prima disprezzati.  

Anche per questo quel passato, per la generazione dei quaranta-cinquantenni, continua a pesare e non riesce davvero a passare.   Oggi invece il termine stesso di contestazione è diventato desueto. I nostri figli non vogliono un altro mondo, vogliono tutto e subito questo mondo. E persino le esperienze estreme dei padri hanno cambiato di segno. Chi inghiotte qualche pasticca d´ecstasy prima della serata in discoteca non vuol cercare l´altrove, vuole vivere più intensamente il qui e ora, potenziare l´effetto di ciò che sta comunque facendo. Così come il sesso facile non vuol rompere alcun tabù. È solo un modo per massimizzare un piacere diventato banale. Da questo mondo si vuol trarre il massimo, altro che allontanarsene.  

E noi, i padri che, ribelli o meno allora, lo abbiamo costruito con tanta fatica, ci siam fatti un punto d´onore di dar ai figli il massimo. Forse in ricordo di quel lontano spirito di ribellione non li vogliamo nemici od ostili a loro volta. Noi vogliamo comprenderli, non vogliamo pesare su di loro, né far pesare loro la fatica che c´è voluta a costruirlo quel mondo tanto confortevole. Evitiamo di ricordarla e raccontarla quella fatica, forse per pudore, o perché ci sembra di ricattarli se lo facessimo, come magari pensiamo ancora abbiano fatto i nostri genitori con noi, o altrimenti perché è un punto tuttora irrisolto fra marito e moglie, un luogo sospetto di svalutazione del lavoro domestico o del ruolo femminile. Ma in questo modo non abbiamo insegnato ai figli a dire grazie.   Non abbiamo insegnato loro a dar peso alle cose, non abbiamo educato il loro cuore alla reciprocità e alla consapevolezza del dare e ricevere. Erika non ha voluto sterminare la sua famiglia, ha piuttosto voluto aver senza pesi e contraddizioni tutto per sé quel che la famiglia le garantiva. Infatti ha risparmiato il padre, senza il quale nulla avrebbe più avuto. E non per niente l´unica preoccupazione che sembra aver espresso è quella per l´anno scolastico che potrebbe perdere.  

L´unico dato ancora effettivo in un universo virtuale, senza peso e senza misura, che si può aggiustare a piacimento sulla propria misura, con un clic del mouse o con qualche colpo di coltello, così che corrisponda perfettamente a ciò che non si vede perché non si possa naturalmente pretendere.


28/12/2001