Università Cattolica del Sacro Cuore

L'editoria volta pagina, lunga vita al libro

Quando apparve il libro a stampa il raffinatissimo Federico di Montefeltro, duca di Urbino, decise che mai nella sua biblioteca sarebbe entrato un simile e volgare oggetto fatto in serie. Egli avrebbe continuato ad ammettervi soltanto manoscritti. Ironia della storia, sarebbe stato proprio un libro messo a stampa perché non girasse in copie manoscritte pirata, il Cortegiano di Baldassarre Castiglione - uscito nel 1528 e ristampato infinite volte - a tramandare e a diffondere per tutta Europa il mito dello splendore della corte d´Urbino e dei suoi principi.

La tipografia dimostrava un´efficacia con la quale nessuna bottega di copista poteva competere, e la resistenza d´una lunghissima tradizione nei modi della lettura e diffusione dei testi capitolava davanti ai costi contenuti, alla facile replicabilità, alla maneggevolezza, alla rapidità d´esecuzione, alla sicurezza testuale garantita dal nuovo mezzo, il libro.

Il quale creò subito nuovi mestieri e nuove professionalità: l´editore, il consulente, il tipografo, il libraio, il poligrafo pronto a scrivere a comando e a confezionare “instant books” su qualsiasi argomento; e nuovi problemi, la pirateria libraria per esempio, il contenzioso tra autore e editore sulle spese e i guadagni, sulla qualità del prodotto e la sua diffusione. O quelli fra autorità e tipografi in un gioco a rimpiattino tra volontà di controllo e desiderio di evadere ogni censura per rincorrere il mercato o diffondere le proprie idee.

Anche se per cambiare le consuetudini mentali fino in fondo ci sarebbe voluto comunque molto tempo perché, ad esempio, si rendesse conto che il libro poteva essere trattato in modo diverso dal delicato e raro manoscritto, affidandolo alla lettura, senza troppe remore per la sua usura, in biblioteche pubbliche. La “Bodleian” di Oxford a fine 500 fu la prima, l´“Ambrosiana” di Milano pochi anni dopo la seconda. Sia come sia, per oltre cinque secoli il libro a stampa sarebbe rimasto lo strumento principale dell´informazione, il veicolo per eccellenza della cultura alta e bassa, della approvata e della riprovata. Così che quando la situazione cambiò, con la radio prima, la televisione poi, la comunicazione elettronica infine, lo sconcerto non fu minore di quello provato a fine ´400 dal duca Federico.

Anche perché, come allora, i nuovi mezzi hanno sconvolto codici culturali consolidati, spalancato opportunità mai prima nemmeno sognate, cambiato in qualche modo l´ordine stesso dei fini. L´informazione, da merce limitata che viaggiava spesso lentamente, secondo gerarchie e priorità ben definite, e che bisognava saper dove cercare è diventata sovrabbondante, spesso gratuita, offerta prima ancora d´essere richiesta, velocissima e, infine, immateriale e ubiqua. Con un piccolo computer e un collegamento a Internet si possono accumulare in pochi minuti tanti dati che fino a qualche anno fa avrebbero richiesto laboriose indagini, sofisticate competenze e magari lunghe trasferte da una biblioteca all´altra, e senza certezza di risultato. Non per nulla si dice oggi che il potere non sta più nel controllo dell´informazione ma si misura sulla capacità di trovarla, connetterla, diffonderla e infine recuperarla arricchita in un movimento senza fine e senza centro o gerarchia prestabilita.

È un processo che si è accelerato e amplificato negli ultimi vent´anni e che ha creato una industria dell´informazione di proporzioni mai viste e capace di attrarre e mobilitare capitali imponenti. In effetti i grandi vecchi dell´editoria non hanno successori altrettanto riconoscibili. Sarebbe impossibile gestire il colosso integrato dell´informazione Bertelsman come Rizzoli faceva con la sua casa editrice, tenendone i conti sul rovescio d´un pacchetto di sigarette. O per gli autori avere un rapporto diretto con l´editore come ai tempi, pur recentissimi, non dico di Arnoldo Mondadori ma di Giulio Einaudi o di Livio Garzanti - ultimo vivente dei giganti antichi - con la sequela di miti e leggende che ne conseguivano: il cattivo carattere dell´uno la micragnosità dell´altro, il fiuto dell´altro ancora, le scelte azzardate in proprio, i colpi di fortuna e così via.

Ma come il copista cedette il passo all´editore, e il manoscritto al libro stampa, così oggi il primo al manager senza volto d´una informazione virtuale e il secondo allo schermo del computer? Probabilmente no. E non solo perché il libro costituisce il fiore all´occhiello di qualunque colosso multimediale - la televisiva Mediaset divenuta padrona d´una costellazione di case editrice tra cui Mondadori ed Einaudi ne è la prova -, ma per motivi più strutturali. Perché il libro soddisfa esigenze che nessuna banca dati può risolvere preselezionando e dando forma all´informazione, perché il libro può sfruttare le nuove tecniche dell´informazione e combinarsi con gli altri media.

Se le piccole librerie muoiono l´e-commerce spalanca all´acquirente le porte di quelle di tutto il mondo, se nella disponibilità infinita delle informazioni naufraga la competenza culturale generalista del mitico “avvocato colto” cui era indirizzata tanta saggistica di alto livello, le nuove tecniche di stampa garantite dall´elettronica consentono tirature limitatissime e mirate a un pubblico di specialisti attento e voracissimo di libri un tempo quasi impubblicabili.

Il magazzino elettronico a sua volta consente di produrre libri “su domanda” senza immobilizzo di capitale senza resa di invenduti e continuamente aggiornati. E infine, il computer malgrado le sue tante qualità non ha la flessibilità d´uso del libro. Non si può annotare lo schermo e per quante finestre si possono aprire non saranno mai tante quanti i libri che si possono contemporaneamente tenere sul tavolo e contemporaneamente consultare. E neppure il computer avrà mai la solidità e la resistenza, la nessuna necessità di manutenzione che ha un libro. Insomma, il libro a stampa cambierà come è cambiato tante volte, ma la sua lunga storia certamente non è ancora finita.

03/07/2001