Università Cattolica del Sacro Cuore

La Cattolica, il nuovo millennio del sapere

Quando ne compì ottanta, il poeta Giuseppe Ungaretti dichiarò di avere in realtà quattro volte vent´anni. È così anche per l´Università Cattolica del Sacro Cuore giunta al medesimo traguardo? C´è alle viste una nuova giovinezza, un rinnovato fiorire dell´istituzione? Uno sguardo al passato ce ne può dare speranza.

Nel 1941 sembrava che la guerra fosse tutta a favore delle dittature. Alla Cattolica per impulso di padre Agostino Gemelli ci si preparava invece alla democrazia e si formava la classe dirigente dell´Italia postbellica. Vent´anni dopo - mentre l´Italia del boom esaltava la propria recente ricchezza e si inebriava dei propri successi - alla Cattolica se ne ripercorreva la storia economica e sociale e se ne analizzava la situazione sociale con i nascenti strumenti della sociologia, rivelando il rovescio della medaglia.

Indicando quanto costoso fosse stato quel successo e quanto restasse da fare. Nel 1981, infine, mentre la crisi della Repubblica veniva esorcizzata dai miti della “Milano da bere” un rettore filosofo teneva lontana da Largo Gemelli ogni lusinga del genere, proteggeva la ricerca di base, quella che non dà soldi né esiti immediati ma costruisce il futuro, assestava l´Università, la adattava senza cedimenti culturali alla nuova dimensione di massa, le preparava i riconoscimenti e gli sviluppi dei due decenni successivi. E oggi? Per certi versi sembra che tutto vada bene. Non vi sono più la virulenza anticristiana della cultura positivista, contro cui padre Gemelli lottava, né le pretese dello Stato etico e fascista.

Viviamo in una consolidata democrazia e la recente crisi delle ideologie ha spazzato quasi ovunque i residui fondamentalismi culturali e le loro arroganze di marxistica ascendenza riaprendo spazi, un tempo impensabili, di dibattito e ascolto anche per proposte cristianamente orientate.

Non solo. Mai come oggi le esigenze rappresentate dalla Chiesa vengono tenute in considerazione, si tratti di scuole private o di insegnanti di religione. Mai come oggi tanto riguardosi e pronti sono i commenti a ogni dichiarazione della Conferenza episcopale italiana. Mai tanto larga è stata la fiducia nella Chiesa stessa - come le scelte degli italiani sull´8 per mille -. Mai, infine, è stato tanto alto il numero degli studenti della Cattolica, ampia l´offerta di corsi, facoltà, master, sedi, che l´Università dei cattolici italiani può offrire. Parlando della Chiesa francese un intellettuale cattolico d´Oltralpe ha recentemente detto ai vescovi di quel Paese che se essa, la Chiesa francese, aveva saputo recuperare sul piano materiale tutto ciò che il laicismo di Stato le aveva sottratto tra Otto e Novecento, non altrettanto brillante era la situazione sul piano delle idee.

Con una formula brutale ma efficace ha loro parlato di una Chiesa “ricca di beni e povera di idee”. Da noi più che brutale tale formula sarebbe senz´altro ingiusta, anche grazie al progetto culturale lanciato con lungimiranza qualche anno fa dalla Conferenza episcopale italiana. E però non vi è dubbio che la tentazione faustiana di scambiare i successi mondani con l´anima può riguardare anche la situazione dei cattolici italiani. Che anche da noi - per riferirci a un episodio evangelico - le oneste preoccupazioni di Marta possano apparire più importanti della passione di fede e conoscenza di Maria.

Tanto più in un momento in cui alle istituzioni dedicate al sapere si chiede sempre più spesso di fare e di servire, e ci si sente a posto riempiendosi la bocca di facili riflessioni sulla necessaria operazionalità del sapere, o presentando quale parametro eccellente così per la ricerca come la formazione degli studenti, l´andamento dell´economia o il mercato del lavoro attualmente esistente.

Le precedenti giovinezze della Cattolica dimostrano in realtà che esse si sono realizzate, e hanno permesso una crescita costante dell´Università e un´effettiva utilità della sua funzione intellettuale, proprio per aver proposto idee e prospettive assurde per l´osservatore che si fosse pensato il più furbo e smaliziato nel breve periodo. La sfida dell´oggi è dunque di nuovo quella di saper intuire - al di là della luce abbagliante delle banalità del presente - il percorso culturale più produttivo di senso e di speranza sul lungo periodo della quinta possibile giovinezza della Cattolica.

Quello che conduce non a una Università ripiegata su una modesta identità di scuola professionale con piani di studio moltiplicati come lista infinita di menu per ogni immediata identità professionale, o supposta tale, quanto come àmbito in cui si propone autorevolmente una via di conoscenza, non solo di tecniche ma, alla fin fine, di un contesto mutevole tra memoria e progetto dell´io e del noi. È vecchia l´idea che la cultura sia ciò che rimane quando si è dimenticato tutto il resto.

Di fatto per orientarsi lungo la vita in un mondo privo di certezze esteriori, come è quello che sempre più si va configurando, quel che serve non sono identità troppo sagomate su esigenze immediate, bensì personalità capaci di darsi conto del mutamento e di trovare in esso comunque una rotta. In questa situazione una Università cattolica - cioè strutturalmente vincolata a una prospettiva di fede in una verità che sola da senso alla storia - si trova oggi a poter proporre ai suoi studenti qualcosa di più di quel che possono le altre.

Non perché abbia soluzioni preconfezionate e garantite, bensì perché ha - o dovrebbe avere in linea con la auspicata autorevolezza di cui sopra si diceva - nel proprio codice genetico, dei propri docenti e dirigenti, una tensione a guardare lontano, a non accontentarsi del presente, a servire senza compromessi la verità, a impegnarsi sull´essenziale non di parte ma per tutti, a disprezzare i risultati immediati e le stesse soddisfazioni dell´amor proprio come mero amor di sé, che un´umanità sorretta dalla fede meglio può apprezzare e perseguire.

Vorrei concludere con una primizia che dimostra come, in effetti, su questa strada la Cattolica si stia movendo. Si tratta di un atto solo simbolico, ma proprio per questo significativo. Si è proposto nei giorni scorsi nel Consiglio di facoltà di scienze della formazione di attribuire la laurea honoris causa a un uomo di Chiesa, a un pastore che della dimensione educativa ha fatto negli anni una sua cifra.

 Nulla di strano, si dirà. Se non fosse che quella dimensione educativa egli l´ha formata non sulle discipline psicosocioeducative che nella facoltà fanno la parte del leone ma su saperi fondamentali, di esegesi biblica, di storia antica, di filosofia e così via cui così, implicitamente, quegli altri saperi, più modesti e però anche più “à la page”, rendono omaggio. C´era una volta l´immagine del “puer canutus”, del bambino ricco di sapienza. Con l´aiuto di tutti potrà essere questa l´immagine della quinta giovinezza prossima ventura della Cattolica.

07/12/2001