Università Cattolica del Sacro Cuore

La famiglia entri nell´agenda dei candidati

Siamo, appena sotto il Giappone, il Paese con l´età media più avanzata al mondo. Addirittura oltre i quarant´anni. Siamo invece al primo per la denatalità, tra i Paesi sviluppati. Ci sono in media appena 1,2 figli a coppia, quando per una situazione di equilibrio si dovrebbe stare almeno a 2,1. Sono dati paradossali e preoccupanti al tempo stesso. Paradossali perché se evidentemente in Italia si vive bene - visto che si sopravvive complessivamente più a lungo - tuttavia manca una fiducia nel futuro che porti a far nascere più figli. E, altro paradosso, ciò accade in un Paese con una percentuale di praticanti la religione tra le più alte, intorno al 25-30 per cento della popolazione.

In realtà, non si tratta di dati così incoerenti fra di loro, come potrebbe sembrare a prima vista. Provano piuttosto la tenuta degli schemi mentali di fondo e della cultura della famiglia italiana, in un contesto che si presenta per essa sempre meno favorevole. Si fanno pochi figli in certi casi perché le priorità di coppia sono altre, non vi è dubbio, ma - io credo - soprattutto perché si teme di non poter dar loro tutto l´aiuto, l´affetto e la cura che si ritengono ottimali per farli crescere bene. Non per niente le stesse indagini statistiche ci dicono che facciamo meno figli di quelli che desidereremmo.

È un acuto senso di responsabilità a frenarci piuttosto che un generico edonismo. Con la conseguenza che i bambini italiani sono spesso dei piccoli principi - quando non dei tiranni - e che, malgrado il loro piccolo numero, essi richiedono alla famiglia moltissimo impegno ed energie. Ma se questa analisi è corretta, allora il problema è di spezzare il cortocircuito fra la responsabilità e la denatalità, offrendo un effettivo riconoscimento sociale alla famiglia, mettendo i genitori nella condizione di poter guardare al tempo della crescita dei loro figli senza angoscia, come tempo nel quale ci sia spazio per la speranza e la gioia del vederli sbocciare e diventare grandi, e camminare infine con le proprie gambe e capaci di restituire in modo maturo l´amore che hanno ricevuto. Altro che stupidaggini sul familismo amorale e sulla bellezza dell´individualismo, come quello che informa la recente riforma della scuola.

Ringraziamo il cielo che gli italiani alla loro famiglia ci tengono e offriamo loro la possibilità di non cercare vie tanto perverse come quella del non fare figli per tenerla in piedi. Già, perché un´altra recentissima indagine ci dice che circa il 70 per cento degli anziani continua a considerare il matrimonio il centro della propria vita di relazione e un buon 33 per cento dei maschi approfitta della condizione di pensionato per accrescere il proprio coinvolgimento nel lavoro domestico.

Verrebbe da dire che se gli italiani fossero meno ingegnosi e flessibili, e innamorati della propria famiglia, le istituzioni pubbliche probabilmente avrebbero fatto di più. Ma oggi - per i dati sopra espressi - siamo giunti probabilmente vicinissimi a un punto di crisi irreversibile, con conseguenze che diventeranno sempre più pesanti in futuro, quando un solo figlio diventato adulto dovrà farsi carico di due genitori anziani e di quattro nonni ormai vecchi. E aiutare la famiglia oggi non significa soltanto accrescere i servizi sociali, come pure è necessario, e agevolare legislativamente la condizione dei genitori con figli piccoli.

Tutto questo significa soprattutto chiamare, con umiltà e rispetto profondi, i genitori, e gli stessi anziani, a collaborare attivamente al benessere delle famiglie, ponendo le istituzioni al loro servizio in una prospettiva non economicista e pedagogicamente dirigista ma di solidarietà e di sussidiarietà. Questo significa reinventare lo Stato sociale e la cultura amministrativa. E scusate se è poco. Ma di meno non si può. Se lo segnino sull´agenda della campagna elettorale i candidati premier, i partiti e le coalizioni che li appoggiano, e ci diano risposte chiare.

16/03/2001