Università Cattolica del Sacro Cuore

La Terra umiliata e il limite dell´uomo

Malgrado tutti i proclami tranquillizzanti dei mesi passati, c´era da aspettarselo che il morbo della mucca pazza arrivasse anche da noi. In un mercato globale non ci sono isole felici, né muri tanto alti che non possano venir scavalcati. Cosa adesso ci attenda è difficile dire.

Così come gli effetti di Chernobyl sono misurabili solo statisticamente, in termini di aumento dei casi di tumore, altrettanto è probabile accadrà per quelli derivanti da questa nuova malattia. Il danno è fatto, inutile nasconderselo; speriamo almeno che lo si possa limitare, ma occorre esser coscienti che i provvedimenti presi oggi daranno effetti soltanto a lunga scadenza. Ma limitarsi rassegnatamente all´accettazione della catastrofe non può bastare. Gli incidenti ecologici si stanno moltiplicando e a un´emergenza subito ne subentra un´altra, in questi ultimi anni. E non possono esser perciò più considerati isolatamente.

Il Papa stesso, ricordando come nella prospettiva biblica Dio abbia affidato la creazione all´uomo, afferma duramente che “l´umanità ha deluso l´attesa divina” e umiliato la terra. Arriva al punto da invocare una “conversione ecologica”, la quale riguardi non soltanto l´ambiente fisico, ma divenga ecologia umana, capace di rendere “più dignitosa l´esistenza delle creature, proteggendone il bene radicale della vita in tutte le manifestazioni e preparando alle future generazioni un ambiente che si avvicini di più al progetto del Creatore”.

Sono parole ferme, e importanti, e che dovrebbero essere al centro di qualunque progetto culturale orientato in senso cristiano. Perché solo ritrovando la consapevolezza del limite dell´azione umana nei confronti della natura, il senso non assoluto ma come di ministero della signoria dell´uomo sul creato, diventa possibile pensare una comunanza di destino dell´uomo oggi. Limitarsi a riaffermare i diritti civili e politici, conquista della modernità, non basta perché essi non incidono sulla sfera ecologica se non in modo molto mediato, e attraverso strumenti - come l´autorità statale - che crisi globali come questa dimostrano del tutto inadeguati a tutelare davvero la dignità e la speranza di vita degli uomini.

Il problema non è più oggi risolto con l´accrescimento della libertà individuale, con le dichiarazioni, pur sacrosante, dei diritti dell´uomo. Esse servono per i mali che vengono dal passato. Per quelli nuovi, legati allo sfruttamento dissennato del pianeta, all´assolutizzazione delle logiche economiche, per loro natura razionali solo nel breve periodo, occorre altro. Occorre combinare la consapevolezza del limite con quella, conseguente, della responsabilità, di tutti e di ciascuno, per il rispetto di quel limite. E ciò, a sua volta, significa ragionare in una logica che non è soltanto etica, ma diventa inevitabilmente politica.

Certo non della politica mirante alla pubblica felicità, fondata sull´idea della illimitatezza delle risorse così che bastava accrescerne lo sfruttamento per dare, in ipotesi, tutto a tutti, ma in quella di un bene che è comune proprio perché è limitato, e proprio per questo deve essere utilizzato da ciascuno responsabilmente verso gli altri.

Qualche anno fa proponendo tematiche simili si correva il rischio, come è successo a chi scrive, di esser attaccato dai liberali scandalizzati dal ritorno del “bene comune” visto come vincolo alla libertà, e frainteso dagli stessi cattolici preoccupati di non essere abbastanza moderni. Per non parlare di una sinistra sotto sotto nostalgica del mito del progresso e della scienza dissolvitrice delle oscurità della fede. Oggi probabilmente tutti questi con l´ecologia si riempiono la bocca. Pazienza, anche l´ipocrisia è un omaggio alla virtù. E la si può pure sopportare se alle parole comunque seguiranno i fatti.

18/01/2001